sabato 4 ottobre 2003
Io sento che la divinità si è spezzata come il pane dell'Ultima cena e che noi ne siamo le briciole. Francesco è un santo che mi è caro non solo perché ne porto parzialmente il nome ma perché la sua spiritualità autentica, affidata alle cosiddette "fonti francescane" e non tanto a certi stereotipi anche popolari, è affascinante e profondamente evangelica. Credo che tutti i lettori condividano questa mia convinzione. Nel giorno a lui dedicato dalla liturgia ho voluto, però, molto liberamente ricorrere a un autore lontano da lui per coordinate storiche, spaziali e religiose. Eppure la frase di Herman Melville (1819-1891), il celebre creatore del misterioso cetaceo simbolico Moby Dick, è intimamente connessa alla spiritualità di Francesco. Il pane posto sulla mensa del Cenacolo è il corpo di Cristo. Ma, stando a san Paolo, anche noi siamo il corpo del Cristo pasquale che continua a vivere, a parlare, a salvare nella storia e nel mondo. Siamo quasi le briciole di quel pane spezzato nella sera del giovedì santo. C'è in noi una presenza divina che trasfigura ogni creatura, anche se misera e modesta. Dopo tutto, era stato lo stesso Cristo a ricordarci che egli è celato sotto i profili cadenti e sofferenti degli stranieri, degli affamati, degli assetati, degli emarginati, dei carcerati, dei malati (Matteo 25, 31-46). Sono anche loro, anzi soprattutto loro, le "briciole" di Dio disseminate per le strade della terra, una presenza differente ma altrettanto sacra di quella che sta nei tabernacoli delle chiese, nel pane eucaristico. E san Francesco ha percorso proprio le città, i villaggi, i tuguri alla ricerca di queste briciole per raccoglierle e farle diventare l'unico corpo di Cristo.
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