mercoledì 21 agosto 2002
La telefonata mi giunse alle 15.30 di domenica pomeriggio, una luminosa giornata di sole. «Mr. Wolterstorff?». «Sì». «È lei il padre di Eric?». «Sì». «Devo darle una cattiva notizia. Eric stava scalando sulle montagne e ha avuto un grave incidente». «Sì». «Devo dirglielo, Eric è morto. Mr. Wolterstorff, è ancora in linea?». Per tre secondi ho sentito la pace della rassegnazione: le braccia si sono tese reggendo mio figlio esanime nell'atto di offrirlo serenamente a qualcuno. A Qualcuno. Poi il dolore, gelido e bruciante.Così il teologo Nicholas Wolterstorff, docente nell'università americana di Yale, descrive l'esperienza di quel pomeriggio estivo in cui dall'Austria seppe che suo figlio si era sfracellato durante una scalata.
Lo racconta nel suo Lamento per un figlio (ed. Gbu, Chieti-Roma), un'intensa, drammatica eppur serena meditazione sul mistero del dolore e della morte. Perché parlare di questo tema così "invernale" mentre sfolgora il sole dell'estate e tutto sembra parlarci di vita?Se non altro perché la morte bussa in ogni ora e giorno, in ogni stagione e anno e l'emozione di quel padre può essere sempre in agguato anche per noi. Ma ciò che vorrei sottolineare è la duplice reazione che Wolterstorff prova. Da un lato, c'è l'istinto della fede che ti fa offrire a Dio la creatura cara che hai, esanime, tra le braccia. D'altro lato, c'è l'istinto della natura umana che ti fa urlare di dolore. L'uno e l'altro istinto sono stati testimoniati da Cristo che ha condiviso il nostro dolore e il nostro morire. E che ha spezzato la frontiera della morte aprendola all'eternità di Dio.
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