mercoledì 8 gennaio 2014
Escono in contemporanea da Castelvecchi (che è un marchio di Lit Edizioni) due biografie di Édith Piaf, mito della canzone non solo francese, scomparsa a quarantotto anni nel 1963. La prima è propriamente un'autobiografia, scritta con il giornalista Louis-René Dauven, con prefazione di Jean Cocteau, pubblicata in Francia nel 1958: conserva in italiano il titolo originale, Au bal de la chance (Al ballo della fortuna, pp. 192, euro 17,50) e riproduce, con nuova copertina, l'edizione Castelvecchi del 2011. Nell'introduzione, Marc Robine, che aveva curato per L'Archipel l'edizione del 2003, ridimensiona alcuni aspetti della «leggenda» Piaf, che non sarebbe stata partorita sul marciapiede e non si sarebbe prostituita per raggranellare i soldi per i funerali della figlia Marcelle, avuta quando aveva diciassette anni da un giovane fattorino, Louis Dupont, e stroncata dalla meningite a soli diciotto mesi: in realtà pare che Édith sia nata regolarmente in ospedale, e i soldi per il funerale della piccola furono trovati meno drammaticamente.L'altra biografia, di ben 480 pagine (euro 25), è firmata da Simone Berteaut, e si intitola Édith mia sorella (una prima edizione Rizzoli è del 1970). La Berteaut si è sempre proclamata sorellastra della Piaf, asserendo di avere lo stesso padre, il contorsionista di strada Louis Gassion, a cui peraltro sono attribuiti diciannove figli. Di fatto, anche se il libro della «sorella» fu contestato da altri famigliari, Simone Berteaut, soprannominata Momone, più giovane di due anni rispetto a Édith, accompagnò l'adolescenza della futura star sui marciapiedi di Parigi e nelle caserme, quand'erano entrambe cantanti di strada, e la frequentò per tutta la vita. Nell'autobiografia, la Piaf ricorda con simpatia l'«amica» Momone.Aveva vent'anni, la Piaf, quando l'impresario Louis Leplée, notò la voce straordinaria di quella ragazza da marciapiede: le fece un'audizione, la presentò nei cabaret, e da lì ebbe inizio la straordinaria carriera di Édith il cui cognome, Gassion, fu mutato da Leplée in Piaf (passerotto) per la sua corporatura minuta e fragile. Canzoni come L'Hymne à l'amour, La vie en rose, Milord, L'étranger, Ne me quitte pas, hanno fatto il giro del globo, cantate da quella voce straziata e vibrante che scava nel cuore. Della sua arte ha detto la parola definitiva Jean Cocteau: «Édith Piaf ha la bellezza dell'ombra che si esprime alla luce. Ogni volta che canta sembra che strappi la sua anima per l'ultima volta».La cantante, che diverrà vittima dell'alcol e della morfina che aveva incominciato ad assumere durante il ricovero ospedaliero per un incidente automobilistico, ebbe molti amori, anche fra i compositori e i cantanti di cui favorì la carriera, e la «sorella» è prodiga di complicità e di particolari. Comunque, Yves Montand, Gilbert Bécaud, Charles Aznavour, Leo Ferré, Eddie Constantine devono molto o quasi tutto alla Piaf. Celebre è rimasta la storia d'amore di lei con Marcel Cerdan, il campione mondiale dei pesi medi, conosciuto nel 1948 e che l'anno dopo morirà in un incidente aereo. Negli ultimissimi anni, la cantante, che da 1952 al 1956 era stata sposata con il compositore Jacques Pills, si legò al cantante greco Theophanis Lamboukas, da lei scoperto e ribattezzato Théo Sarapo. La «sorella» raccolse questa confidenza: «Con Marcel (Cerdan) ci volevamo molto bene, ma io so benissimo che se non fosse morto mi avrebbe abbandonato. Non perché sarebbe diminuito l'amore, ma perché lui era onesto, e anch'io. Aveva moglie e tre figli e sarebbe ritornato con loro. Se non avessi incontrato Théo, sarebbe mancato qualcosa nella mia vita». Sposò Théo con rito civile e poi con rito religioso ortodosso nel 1962, lei di 47 anni, lui di 26. La canzone Non je ne regrette rien (Non rimpiango nulla, ricomincio da te), che è del 1960, prelude in qualche modo all'amore per Théo, intensamente corrisposto. Édith Piaf, devotissima di santa Teresa di Lisieux a cui attribuiva il «miracolo» della guarigione da una grave malattia agli occhi quando aveva quattro anni, morì l'11 ottobre 1963. Jean Cocteau, che doveva leggerne l'elogio alla radio, morì il giorno dopo.
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