mercoledì 22 settembre 2010
Sette racconti, sette storie di solitudine e di sofferenza di altrettanti ragazzi compongono il nuovo libro di Isabella Bossi Fedrigotti, Se la casa è vuota (Longanesi, pp. 144, euro 15), che è " lo diciamo subito " un libro bellissimo. Bellissimo un libro che racconta il dolore? Sì, perché è una narrazione senza dolorismi e che, mentre bussa al cuore, fa appello alla responsabilità. Lorenzo è nella scomoda posizione di secondogenito, schiacciato dal confronto con il perfettissimo Emanuele e in competizione con la graziosissima sorellina Luisa. Il bambino reagisce con un comportamento iperattivo, non vuole andare all'asilo, il rendimento scolastico è via via decrescente, tanto che i genitori decidono di metterlo in collegio. Da adolescente, Lorenzo perde ogni interesse vitale, è sempre più chiuso. Più avanti, mentre i suoi brillantissimi fratelli mietono successi, a 25 anni ha fatto solo tre esami all'università: «Si direbbe che gli hanno cambiato l'anima, sostituendo quella che aveva quando è nato». Annalisa, figlia di una sbandata della madre per uno studente svedese, passa dalla bulimia all'anoressia, e solo l'affetto di un compagno di scuola la risarcirà delle attenzioni che non aveva avuto. Paolina, figlia di un artista e di una brillante sceneggiatrice, non regge alla separazione dei genitori, finirà tra i drogati e uscirà da una comunità di recupero con una figlia di due anni, di cui con conosce o non vuol dire il padre. Francesco è un ragazzo splendido, sportivo, orgoglio dei genitori, adorato dalla sorellina. Verrà risucchiato dai giochi e dalla pornografia di internet che gli toglieranno il sonno e il gusto della vita. Carlo aveva il terrore di essere lasciato solo, e infatti lo era, sempre indaffarati i genitori, con altri interessi i due fratelli maggiori. La madre è frustrata per aver dovuto interrompere la professione di avvocato, il padre si sposta continuamente all'estero per inseguire la carriera. Adolescente, Carlo incomincia con gli spinelli, e i genitori sperano che si fermi lì. Pietro, quando a 6 anni i genitori si dividono e ciascuno mette su un'altra famiglia, incomincia a essere sballottato da una casa all'altra, da un weekend all'altro, da una vacanza all'altra. Risultato? Il ragazzino scappa di casa una, due, quattro volte e sarà lui finalmente a decidere di andare a vivere con quella nonna un po' eccentrica ma che corre ad aprirgli la porta quando sente il suo passo sulle scale. Sono storie ambientate nella borghesia medio-alta, case di professionisti con colf filippina, genitori che non si può dire che non vogliano bene ai figli: gliene vogliono, ma hanno i loro interessi, sono in qualche modo sempre altrove. Anche quando stanno insieme, genitori e figli, non sono una famiglia. E infatti, presto o tardi si dividono. Le conseguenze ricadono sui figli che disperatamente lottano, quasi sempre sbagliando, per vincere la solitudine a cui sono consegnati. La morale è nel primo racconto, in cui l'autrice, rielaborando la propria esperienza, ricorda che i suoi genitori litigavano spesso, anche furiosamente, ma né lei né suo fratello hanno mai pensato che la separazione sarebbe stata risolutiva. Anche litigando, sempre meglio la famiglia unita. Questo libro non è un trattato di psicologia o di pedagogia, è molto di più: è letteratura che, attraverso la narrazione, senza emettere giudizi ma solo mostrando situazioni che hanno un'evidente veridicità, comunica emozioni, sentimenti e pensieri. Spesso ci sorprendiamo che i giovani d'oggi siano svogliati, superficiali, abulici, senza progetti, anche violenti: come potrebbe essere diversamente, se alle spalle hanno famiglie disastrate, o se devono subire l'ipocrisia di «civilissime» famiglie «allargate»? Non si parla di trascendenza o di religione, in queste pagine, ma il significato della famiglia «naturale» emerge con inoppugnabile nitore, interpella tutti e ciascuno. Non è retorica ringraziare Isabella Bossi Fedrigotti per aver saputo scavare così a fondo nell'anima, nella sua e nella nostra.
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