martedì 12 giugno 2018
Chi crede che il calcio non sia solo un gioco ma una forma di cultura universale allora scoprirà nel serbo Bora Milutinovic uno dei massimi operatori culturali e un pellegrino laico legato, anima e piedi, alla grande chiesa del football. A 73 anni questo nomade della panchina, capace di portare il verbo calcistico tra gli yankee del soccer americano, come tra i campi circondati dalle macerie dell'ultima guerra dell'Iraq, continua a viaggiare e a predicare. Ora anche nel deserto del Qatar: è ambasciatore dei prossimi Mondiali del 2022. Quelli di Russia li vedrà dalla tribuna, non ha panchina e avrebbe tanto voluto sedersi per una volta su quella della nostra Nazionale, anche perché dice, fraterno, «un Mondiale senza l'Italia è come un 25 dicembre senza albero di Natale». Il calcio per lui è una festa, uno sport che si fa filosofia di vita capace di abbattere tutti i muri e portarlo fin sotto alla grande muraglia cinese. Milutinovic, il primo vero ct europeo a spingersi, in tempi più grami, nel nuovo eldorado pallonaro della Cina. Dove arriva Bora c'è un vento di rivoluzione, di nuovo o rinnovato gusto del gioco e di sapiente ironia. «Prima del Mondiale entrai in una chiesa per parlare con Dio. Mi ha chiesto: cosa vuoi Bora? Ho risposto: segnare come la Francia! E Dio mantenne la parola...». Infatti, sia la Francia che la sua Cina uscirono dalla competizione senza realizzare un solo gol.
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