mercoledì 9 dicembre 2015
I «Tascabili Bompiani», gli amabili librini in formato 13x20 con gli angoli stondati, arrivano al numero 538 con La Bellezza e il Peccato di Maria Bettetini (pp. 208, euro 12), che dal sottotitolo vuol essere, e ci riesce, una «Piccola scuola di filosofia».Niente astrattezze, niente sfoggi di erudizione accademica: l'intenzione del libro «è di lasciar entrare la forza della filosofia nella vita. Non per complicarla o rattristarla. Piuttosto per imparare a usare quella meraviglia di intelligenza, cogliendone anche le declinazioni affettive e comportamentali. E vivere meglio, padroni delle nostre giornate, padroni della nostra rabbia, del nostro tempo». Infatti, «la politica insegna come vivere, l'economia come vivere bene, la filosofia forse come vivere meglio», senza dimenticare però che «solo una religione insegna a morire, e a morire bene, nel migliore dei modi».Il libro, in stile quasi diaristico, esemplifica in vari modi, e secondo le diverse circostanze, come si può «assaporare il presente» con l'apporto della ragione e secondo le «declinazioni affettive». I brevi, e talora ancor più brevi, paragrafi sono raggruppati in blando riferimento alle quattro stagioni: l'inverno per «Dentro l'anima», dove si parla dei sensi («Toccare», «Profumo»...), ma anche di «Amicizia», «Sogno», «Fede»; la primavera per «Peccati e virtù», ed è la sezione più eticamente tematizzata; l'estate per «Filosofi sul sofà», dove, accanto a digressioni sull'«Otium» e sull'«Omnia mea mecum porto», viene garbatamente ripresa la polemichetta sull'attitudine filosofica dell'uomo e della donna; infine, l'autunno è dedicato al «Viaggio», viaggi mentali e geografici, viaggi nella fantasia e nella memoria.L'ultimo capitolo, extrastagionale, raccoglie riflessioni su alcuni classici del cinema, come il chapliniano Luci della città, l'immortale Casablanca, l'Amleto di Laurence Olivier. Apparentemente questa incursione nel «cinema vintage» sembrerebbe meno congrua con il resto della trattazione, ma il titolo della sezione, «La macchina del tempo», dà la chiave interpretativa: infatti il sentimento del tempo (per dirla con Ungaretti) attraversa tutte le pagine del libro, perché il filosofo (e anche la filosofa) non può fare a meno di confrontarsi col problema dei problemi, il problema del tempo.Non si finirebbe di segnalare le confortevoli soste nel pensiero di ogni epoca alle quali l'autrice invita. Il mio antimanzonismo, per esempio, è uscito rafforzato dalla considerazione che «l'autore dei Promessi sposi ha un'idea della Provvidenza non troppo distinta da quella greca, pensa infatti che già su questa terra i buoni siano premiati e i cattivi puniti»: è l'esecrabile religione retribuzionista del Gran Lombardo. Sempre illuminanti le considerazioni sui «non-luoghi» teorizzati da Marc Augé, riportate a pagina 122, cioè «tutti quei posti privi di originalità, ripetuti in copia nei diversi continenti»: aeroporti tutti uguali, stessi fast food, stessi grattacieli. «Paradossalmente – osserva Bettetini – la sempre maggiore accessibilità ai viaggi li ha anche privati di senso: perché attraversare un oceano per vivere due settimane in un villaggio turistico identico a molti altri nelle Puglie, in Sicilia, in Sardegna?». L'autrice ricorda ancora il suo professore di liceo: «"Lei dovrebbe studiare filosofia all'università", "No, prof è troppo noiosa", poi lui si prese l'iniziativa di morire neanche quarantenne in un incidente d'auto, che cosa dovevo fare?». Da lui aveva appreso che in medio stat virtus non è una via di mezzo, bensì «un vertice tra due abissi, un'eccellenza tra due turpitudini». L'ex alunna non dice il nome di quel professore, ma io posso farlo: Emanuele Samek Lodovici, carissimo, indimenticato amico.
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