venerdì 1 giugno 2018
«Un pugile torna all'angolo stravolto sull'orlo del ko. Come vado? - chiese al suo manager - Se lo ammazzi fai pari - rispose l'altro». Questa è una delle tante storie esilaranti che si potevano ascoltare al Bar Gattullo dalla viva voce del genio: Beppe Viola. Il nostro Osvaldo Soriano, un narratore orale, e non solo, impareggiabile, specie in un'alba da scighera (la nebbia) milanese, a trangugiare un panino alla muratora, di ritorno da San Siro dopo un'intervista fatta in tram all'abatino Rivera o dalla fumosa tana jazz del Capolinea, assieme all'allegra brigata dei comici del Derby, in libera uscita. Quella era la sua squadra del cuore - da Jannacci fino a Cochi e Renato - il gruppo da Ufficio Facce di cui questo pezzo unico e irripetibile del giornalismo sportivo era il mentore assoluto. Il Beppe è uno che ha insegnato il mestiere a tanti, senza mai salire in cattedra, scrivendo pezzi per portare a casa la «rebonza» (il malloppo), buttando giù testi di canzoni e sceneggiature per un film, "Romanzo popolare", fin dal titolo sintesi perfetta del beppeviolese. Come tutti i geni non lesinava sregolatezze e un anno prima di salutare per sempre (ottobre 1982, non aveva 43 anni) informava: «Gli esami clinici mi hanno riferito che ho più salame io in vena che Peck in vetrina». Gianni Brera nel salutare il "suo" Pepinoeu Viola scrisse commosso: «Era nato per sentire gli angeli e invece doveva, o porca vita, frequentare i bordelli».
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