venerdì 28 dicembre 2012
Nei Racconti gastronomici raccolti da Laura Grandi e Stefano Tettamanti c'è un "appunto" di Aldo Buzzi che mi ha molto incuriosita, assieme al Pentolino di Sholem Aleykhem, alla Gallina di Clarice Lispector, alla Grande fame di John Fante (ma com'è possibile scegliere fra le specialità culinarie di Dahl, Cechov, Maupassant, Piero Chiara, Mario Soldati e di altri?). «Il pane» annota Buzzi «è in decadenza dappertutto. Non si dice più: 'Buono come il pane' e finiremo per dire, come gli inglesi: 'Buono come l'oro'». Per cercare di capire, Buzzi interroga un fornaio. Gli chiede, chiamandolo Maestro, da chi abbia imparato l'arte e il fornaio risponde: «Da mio padre». Gli domanda se i clienti non protestino perché il pane non è più buono e il fornaio risponde: «Vogliono solo che sia bianco». A un passo da loro, un uomo anziano e grasso, «ma di un grasso privo di benessere», pare interessato al dialogo. Buzzi lo interpella. L'uomo gli porge un biglietto rosa, dove è stampato: «Egregio Signore, Signora. La natura mi ha creato sordo-muto e il mio unico mezzo di esistenza è la generosità del prossimo». A Buzzi vengono in mente questi versi di Eichendorff, in un latino facilmente comprensibile: «Beatus ille homo / qui sedet in sua domo / et sedet post fornacem / et habet bonam pacem». Una "beatitudine" che non sappiamo quasi più riconoscere.
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