Bassani e Cassola, quando “provinciale” è sintomo di grandezza
venerdì 10 giugno 2016
Chi era Liala? Nata nel 1897, produsse «un numero vastissimo di romanzi dal successo ininterrotto, anche per tutto il dopoguerra, in cui gli elementi patetici e sentimentali si collocano su di uno sfondo estetizzante». Così viene definita la scrittrice in un'autorevole storia letteraria. Ebbene, con il nome di Liala, cioè come nuove “Liale”, vennero liquidati dai neoavanguardisti del Gruppo 63 due scrittori come Giorgio Bassani e Carlo Cassola, divenuti famosi all'inizio degli anni sessanta con due best seller: rispettivamente, Il giardino dei Finzi Contini e La ragazza di Bube. I giovani intellettualissimi e aggiornatissimi autori di quel gruppo, per imporre se stessi e la propria idea di letteratura come novità “trasgressiva” e “rivoluzionaria”, sentirono il bisogno di sbeffeggiare e diffamare culturalmente con un'unica formula abusiva di “Liale” due scrittori che meritavano (e continuano a meritare) tutt'altra attenzione. Ricordo l'episodio perché in effetti la maligna battuta ebbe un'enorme risonanza, divenne proverbiale, creava un clima che condizionò gli studi letterari e la critica per due o tre decenni. I best seller, si sa, possono dare fastidio, spesso giustamente. Ma il successo, immediatamente anche universitario e scolastico che gli avanguardisti ottennero proponendosi come verità letteraria storicamente normativa, è stato molto più fastidioso, ingombrante e ricattatorio. Imponeva l'idea che bello è solo il nuovo, il nuovo è sempre meglio e loro erano il nuovo. Ora un critico ancora giovane come Matteo Marchesini, che qualcuno già definisce il migliore della sua generazione (è nato nel 1979) riscopre e rilegge, con due ottimi saggi quasi simultanei, sia Bassani che Cassola. Marchesini ha recentemente riesaminato l'intero Novecento italiano nel suo libro Da Pascoli a Busi e non è affetto da preconcetti né avanguardistici né tradizionalisti. La sua capacità di immersione negli autori di cui parla (capacità di poeta, oltre che di critico) l'ha dimostrata ancora una volta in un saggio su Bassani uscito il 19 maggio sul “Foglio” e nella sua introduzione all'edizione Oscar Mondadori di Tempi memorabili di Cassola (edizione delle opere a cura di Alba Andreini). Sono saggi non apologetici ma pregevoli per la loro obiettività descrittiva. Cassola e Bassani, il primo con la sua Maremma e il secondo con la sua Ferrara, sarebbero narratori provinciali? Perché no? La migliore narrativa è quasi sempre provinciale. Anche Don Chisciotte e I fratelli Karamazov, anche Faulkner e García Márquez raccontano storie di provincia.
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