mercoledì 17 marzo 2010
Fa una certa impressione avere fra le mani il libro nuovo di un amico deceduto da tre anni, tanto più che di Quel ragazzo di via Solferino, di Gaspare Barbiellini Amidei (Marsilio, pp. 160, euro 15) non è dato sapere quando è stato scritto, chi ha raccolto il materiale: a pagina 4 si dice che la realizzazione editoriale è di Silvia Voltolina e par di capire che si riferisca solo al normale editing. Si può arguire che si tratta del libro che Gaspare stava scrivendo nei suoi ultimi mesi, un po' per organizzare i suoi ricordi, un po' per togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Probabilmente è stata la moglie, la gentile signora Clarice, ad assemblare il materiale che Gaspare ha lasciato con la sua riconoscibilissima scrittura, elegante e aggettivata per non facilitare un'interpretazione troppo univoca.
Barbiellini, figlio della medaglia d'oro Bernardo e pronipote di Anna Rosa Gattorno (1831-1900), beatificata nel 2002, è stato per anni responsabile delle pagine culturali del Corriere e poi vicedirettore vicario, prima di assumere la direzione del Tempo di Roma, per poi continuare come editorialista ancora al Corriere e nei giornali del Gruppo Monti (Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno). Fu lui, con Piero Ottone, a inventare i commenti di scrittori in prima pagina, Pasolini e Testori fra tutti, ma anche la Ginzburg, Moravia, Magris, Eco, Calasso, Zolla, Parise. Con il direttore Franco Di Bella firmava editoriali a quattro mani, e Barbiellini, come gli ricordò Pertini, fu l'unico dell'establishment di via Solferino a non figurare nell'elenco della P2, contrariamente a Di Bella che la pagò ben cara.
Si presentava, ed era etichettato, come «cattolico liberale», precisando però di essere «giornalista virgola cattolico», come se l'aggettivo fosse in qualche modo confliggente con il sostantivo professionale. Infatti, da «giornalista virgola cattolico», all'epoca del referendum sul divorzio (1974) scrisse sul Corriere, e orgogliosamente lo rivendica nel libro, un editoriale contrario all'abrogazione della legge divorzista, commettendo un doppio errore: primo, non aver capito che la battaglia non era confessionale, ma civile; secondo, non aver utilizzato la dottrina della Chiesa per approfondire il contributo dei cattolici al bene comune. Proprio quella sua presa di posizione raffreddò i nostri rapporti che si interruppero per diversi anni, risaldandosi poi nel 1996 quando pubblicò da Rizzoli il bel romanzo L'amore è salvo.
La virgola tra «giornalista» e «cattolico» lo induce, nel libro, a difendere la regolarizzazione delle convivenze omosessuali (non sul piano di parità matrimoniale, peraltro), dimenticando che il diritto civile esistente è più che sufficiente per risolvere i problemi assistenziali e patrimoniali che destano la sua preoccupazione. Anche questo argomento, se Gaspare fosse ancora tra noi, sarebbe servito per una bella litigata, di quelle che rinsaldano l'amicizia.
Interessantissimi i ricordi della collaborazione con Montale, che gli dedicò una poesia riaffiorata nel Diario postumo, e splendida questa osservazione del poeta sulla religiosità del Manzoni: «Non credo che Manzoni sia stato un grande mistico. Il sentimento religioso della moglie, che era calvinista, fu forse più intenso del suo. La religiosità manzoniana è un ritorno all'ordine religioso. Ho l'impressione che dopo la scelta della sua religione abbia ragionato così: "Ecco fatto. Sono un cattolico credente, adesso non se ne parli più"».
C'è anche un elogio per il nostro giornale: "L'Avvenire nell'insieme sta sullo stesso livello del Corriere della Sera e di Repubblica, che hanno molte volte i suoi mezzi», e c'è una curiosa affermazione di Giovanni Paolo II che, in un'udienza dopo la beatificazione dell'antenata, disse a Barbiellini, subentrato a Gianni Letta alla direzione del Tempo: «Non capisco perché non ci sia più Gianni Letta. Faceva un giornale che mi convinceva». E poi, burbero: «Si è preso una bella responsabilità».
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