Barbara Lanati, letteratura e luoghi anglo-americani in una prosa di qualità
sabato 19 giugno 2010
Ci si immerge volentieri, fra ebbrezza e curiosità, nel flusso iridescente e ipnotico della prosa di Barbara Lanati che nel suo Desiderio e lontananza (Donzelli) ci racconta la letteratura anglo-americana. Una quarantina di capitoli organizzati in quattro sezioni ("New York e dintorni", "Bloomsbury e dintorni", "Nel nome della paura", "Nel nome del coraggio") e in una trama fitta e avventurosa che lega libri e epoche, scrittori e luoghi. Si comincia con la New York di E. A. Poe, si passa alla fuga di Stevenson nelle isole del Pacifico, poi alla scoperta dell'Europa da parte di Gertrude Stein, Pound, Eliot, poi ecco gli autori che restano invece "on the native ground", come Willa Cather, William C. Williams, Wallace Stevens, fino a D. H. Lawrence, Eugene O'Neill, la beat generation, Mailer, Capote e Carver, l'America di Emilio Cecchi, Vittorini e Fenoglio. In Inghilterra si parte da Virginia Woolf e il suo ambiente e si arriva a Ian McEwan.
Ma cercare di elencare tutte le cose che i saggi di questo libro trascinano nella loro corrente sarebbe impossibile, perché i temi e i nessi non sono meno importanti delle opere e degli autori di cui si parla. Ciò che trovo ammirevole in questo libro di Barbara Lanati è la naturalezza, la prensile fluidità con cui viene messa in gioco una vasta competenza. Non si tratta di pura preparazione accademica, ma di una vera passione che resta sempre giovane e diventa, prima che racconto, partecipazione visionaria ai luoghi, ai tempi, alle circostanze in cui si muovono i protagonisti della vita letteraria americana e inglese. La qualità di una tale prosa risulta dalla fusione di discorso critico e discorso narrativo, interpretazione e affabulazione. La cosa nasce spontaneamente, senza un preciso proposito, quando uno studioso si accorge che quello che ha letto e pensato ha preso forma nella sua mente prima di essere lavorato in vista di una produzione scritta. Desiderio e lontananza, dice il titolo. Non sono questi i poli di quel magnetismo critico che crea lo scrittore-lettore?
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