martedì 9 giugno 2020
Nei giornali di una volta si usavano certe pratiche come trucchi del mestiere. Si scrivevano articoli che andando verso sera potevano essere scalzati da notizie dell’ultim’ora. A volte la notizia più bella del giorno, trattata con spazio adeguato, si svuotava all’improvviso e allora bisognava avere a portata di mano una storia pronta, preconfezionata, addirittura dotata di titolo e foto; la storia si chiamava emergenza e di solito era cronaca nera, aggiornamenti di processi celebri tipo Rina Fort, oppure, per lo sport, “La Coppa Rimet sotto il letto” che, per chi non lo sapesse, ricordava con sempre nuovi dettagli come Ottorino Barassi, presidente della Figc detentrice dell’ultima edizione della Coppa vinta nel 1938 dalla Nazionale di Vittorio Pozzo, l’avesse messa in una scatola da scarpe e infilata sotto il letto per nasconderla ai nazisti. Ecco, dopo avervi deliziato con questa premessa, voglio dirvi che certi trucchi valgono sempre: in giorni di magra come questi può capitare che nella redazione sportiva il capo annunci un po’ dimesso: “Oggi voglio una bella storia su Balotelli” e che qualcuno gli risponda “Benissimo, è appena arrivata una notizia che lo riguarda, Cellino lo ha licenziato! Possiamo metterla all’inizio del pezzo, il resto è praticamente già scritto”. E via alla tastiera. Giuro che questo non c’entra niente con il pezzo che sto scrivendo e che mi è stato chiesto solo perché anni fa, sette se ben ricordo, raccolsi in un libro gli articoli scritti su queste pagine intitolandolo Bad Boys, dedicato a Supermario e al suo collega Andonio Cassano (sì, Andonio). Fra i commenti ricordo questo: «L’autore accompagna il lettore e lo sportivo lungo un quadriennio pieno di promesse più o meno mantenute... Un tempo scandito da storie, personaggi, campioni e bidoni». Balotelli bidone? No: io l’ho sempre difeso e ancora – magari annoiato – lo difendo, perché la sua storia, fin dalla nascita, è una storia speciale di sofferenza, premiata giustamente da successi e guadagni perché il piccolo abbandonato in un ospedale di Palermo e adottato da una famiglia bresciana è nato con un dono, piedi da calciatore che adeguatamente esercitati lo han fatto diventare campione. Nessuno, nel frattempo, famigliari e procuratori, ha potuto insegnargli altro ed ecco, pronta per centinaia di pubblicazioni e documentari “La saga di Balotelli”, della quale si rimanda sempre la fine perché – come dicevo – è un vero e proprio pronto soccorso editoriale. Bene, io la fine vorrei invece raccontarla, almeno immaginarla: con tutti i soldi che l’onnipotente Raiola gli ha fatto incassare (guadagnare no, direbbero Moratti, Berlusconi, poi Cellino) gli suggerirei di farsi imprenditore, non megagalattico come Briatore, non produttore di abbigliamento sportivo o titolare di un ristorante à la page: mi darei al mattone che, finita la crisi, tornerà a rendere. Poi, un giorno potrà andare orgoglioso, dopo aver distrutto magliette, cuori e supercar, di avere costruito qualcosa. Anche una casetta per Pia.
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