sabato 27 agosto 2016
L'esterno del reparto di maternità in cui le donne aspettano a terra appoggiate a un muro. L'ombra del grande albero sotto cui riposano dopo aver partorito. La fila in attesa di sottoporre i neonati al test dell'Hiv e le nonne che lavano i piccoli. Sono le fotografie che la dottoressa Amyel Garnaoui, italiana nata da padre tunisino, manda dai centri di salute dell'Uganda. È lì per Amref, ong che non è solita inviare volontari nel continente africano, ma che ha fatto un'eccezione perché sta incentivando il dialogo tra Africa e Italia sul diritto alla salute. Dall'ostetrica, laureatasi l'anno scorso, arriva infatti uno sguardo nuovo: «In questi giorni sto visitando diversi health center, soprattutto quelli più piccoli, rurali, cosa che mi consente di approfondire la mia visione dell'assistenza alla maternità». Confrontarsi con diverse colleghe ugandesi le ha aperto occhi, mente e cuore: «Queste fantastiche ostetriche africane nelle mani hanno un sapere straordinario. Bisogna che si sappia che anche nella teoria sono preparatissime. Oltre alla loro lingua, tutte parlano l'inglese e talvolta anche altre lingue africane. Sono avvilita dall'ignoranza dell'Occidente, che crede che l'Africa sia solo terra di problemi». Del resto, nel continente, come in passato in Italia, il mestiere dell'ostetrica è ancora cruciale: la regione subsahariana è quella con il più alto tasso di mortalità neonatale. Gli sforzi di Amref e di altre onlus, però, stanno dando i loro frutti: globalmente, il tasso è diminuito da 36 morti ogni 1000 nati nel 1990 a 19 morti nel 2015, da 5,1 milioni di neonati morti a 2,7 milioni.
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