venerdì 31 ottobre 2008
Il primo pensiero: è una follia. Dico della reazione immediata, spontanea, alla notizia che Diego Armando Maradona è stato chiamato alla guida della nazionale argentina. La gioia in mano all'orefice, direbbe l'anonimo (e ironico) bolognese. Eppure. Eppure provo a farmene una ragione. Sono stato grande amico di Diego, l'ho conosciuto ragazzino a Buenos Aires e lo invocavo in nazionale (giocatore) quando El Flaco Menotti non credeva in lui perchè era troppo giovane (diciott'anni) e troppo pazzo del pallone ("football crazy"). Era il '78 e Menotti finiva per aver ragione: vinceva il Mundial dei generali. E Maradona doveva attendere l'Ottantadue per meritare un mondiale con la maglia blancoazul. Sfortunato, conobbe in Spagna Claudio Gentile. E dovette rimandare all'Ottantasei, Città del Messico, la grande personalissima conquista della Coppa del Mondo. Eravamo amici, dicevo, e fui l'unico a poterlo frequentare quotidianamente, al punto di poter registrare la sua smentita - volutamente dimenticata da tutti - dopo il famoso gol di mano all'Inghilterra: «Non ho detto io mano de Dios - mi confidò - ma un radiocronista argentino. Io credo in Dio». La bella amicizia finì con la droga. Dissi a Diego che mi sembrava il Pinocchio finito nelle grinfie del Gatto e della Volpe. Poi lunghi anni di silenzio. Fino al 2006, Mondiali di Germania: ci incontrammo una notte, a Monaco di Baviera, e ci abbracciammo come due fratelli. Senza molte parole. E qualche luccicone. L'ho rivisitato, Diego, e senza pretesa di giudice mi è parso rinato. Se oggi, dunque, l'hanno chiamato alla guida di una delle più fascinose e potenti nazionali del mondo, vuol dire che i suoi connazionali gli hanno non solo perdonato lunghi anni di intemperanze ma anche riconosciuto qualità di condottiero. Per la parte "istruttiva" gli hanno affiancato "El Narichon" Bilardo, che lo guidò alla conquista mondiale. Completerà quest'anno magico, Diego, diventando nonno: la figlia Gianina aspetta un bimbo da Sergio Aguero, fenomeno dell'Atletico Madrid, che è ormai un punto fermo dell'Argentina, con la quale ha battuto il Brasile segnando una doppietta. Nazionale in famiglia. Naturalmente, attendo all'opera Diego ct con curiosità. Ho sempre pensato che i grandi giocatori diventino raramente buoni allenatori. E ne ho le prove. Eccezioni: un pedatore antico, Fulvio Bernardini, e uno moderno, Carlo Ancelotti. Magari ne dimentico altri, pazienza. Zenga, per venire ai nostri giorni, deve ancora... laurearsi. Il precedente più interessante per Diego è il suo nemico/amico col quale duellò a lungo negli anni Ottanta: Michel Platini, che da ct della nazionale francese "bucò" il Mondiale del '90 e fu eliminato dall'Europeo del '92. Auguro a Diego di far meglio di Michel in panchina. Non credo, infatti, che sia in grado di imitarne la carriera di dirigente, magari al vertice della Fifa, organizzazione che lui definì «una mafia».
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