martedì 10 gennaio 2017
Se gli arbitri erano gli incontestabili padroni del campo, collocati dai regolamenti e dalla tradizione nell'Olimpo degli dei pallonari, stiamo assistendo impavidi al loro crepuscolo. Sabato sera il presidente della Sampdoria Ferrero, passando da una telecamera all'altra dopo la partita di Napoli, ha letteralmente “licenziato” l'arbitro Marco Di Bello di Brindisi, dopo averlo accusato di avere falsato la partita. Verrà sicuramente giudicato e punito per la spettacolare intemperanza e tuttavia il suo j'accuse resterà nella storia della categoria arbitrale nel momento in cui sta subendo un declassamento memorabile a causa della Var – o moviola in campo – che Paolo Casarin chiama «sindrome della Var». Era ora che un esperto – Casarin lo è a pieno titolo – rivelasse l'ormai raggiunta precarietà del ruolo arbitrale: l'inflessibile giudice d'un tempo s'avvia a essere poco più d'una marionetta al servizio della Verità computerizzata, peraltro già sbugiardata in opera e ridicolizzata da protagonisti del calcio internazionale. È come se nei tribunali ordinari i giudici venissero sostituiti da macchinette senza che prima si fosse risposto al quesito di sempre: chi controllerà i controllori degli strumenti rivoluzionari? Ferrero ha definito Di Bello un «incapace», ma la critica non è stata più leggera, dipingendolo come un novizio allo sbaraglio. Ignorando – immagino – che il 36enne arbitro è arrivato in A sulle ali del successo, premiato nel 2014 come miglior esordiente con il riconoscimento legato al nome di un grande arbitro del passato, Giorgio Bernardi. A fine 2016 il “novizio” aveva arbitrato 42 partite in Serie A. Di Bello rimanda al mitico Concetto Lo Bello, in campo ancora a 50 anni per l'ultima delle sue 328 partite di A. Il Grande Siracusano fu protagonista di un memorabile gesto compiuto negli studi della Domenica Sportiva quando, il 20 febbraio del 1972, ammise davanti a Vitaletti e Sassi, “moviolanti” ante litteram, di avere sbagliato a negare un rigore al Milan per un fallo dello juventino Morini. Gesto d'umiltà? Giammai. Accompagnò la “confessione” con un perentorio, orgoglioso «l'errore fa parte del gioco» che rasserenò tutti gli arbitri d'Italia. Più tardi, quando gli contestai di avere letteralmente inventato tre rigori a favore del Napoli (poi realizzati da Altafini) in una partita con la Spal, a Ferrara, dove era stato accolto con fischi, pernacchie e grida di «duce! duce!», mi rispose confidenzialmente – ridendo «qualcuno dovrà pure educare gli esagitati». Altri tempi? Sicuramente altri uomini. Ma non mi riferisco a Di Bello bensì ai responsabili della grottesca demolizione della Casa degli Arbitri. A proposito: quando ne fu edificata una vera, a Bologna, al giovanissimo Collina i Maestri insegnarono che la prima virtù dell'arbitro era la Dignità; mi piacerebbe sentirlo adesso, ma forse è troppo in alto, tanto in alto da non poter più vedere quegli arbitri piccini piccini ridicolizzati dalla Var dei ricchi.
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