mercoledì 31 maggio 2017
Sulla rubrica «500 euro una stanza» (9 maggio), il lettore Andrea Tredici mi indirizza una bella lettera. Mi pare ingiusto, avevo scritto, chiedere a uno studente o a un giovane precario tanti soldi per un posto letto, benché in linea con domanda e offerta. E concludevo: «La coscienza è tua e non del mercato».
Obietta Tredici: non si tratta di «chiamarsi fuori dal mondo… ma di contribuire, con scelte sia personali sia politiche, a una società che sappia riallineare il rapporto tra salari e rendite… Cambiamento che richiede la guida della nostra coscienza, ma che non necessita affatto di una visione pauperista, contraria alle leggi del mercato».
Giusto. Ma mentre lottiamo per il sol dell'avvenir, quel ragazzo e quella ragazza in carne e ossa non ce la fanno, e magari devono rinunciare ai loro progetti di vita.
Avevo scritto ispirata da una proprietaria di casa che non si era sentita di richiedere il canone di mercato. Le pareva troppo. Non lo definirei pauperismo. Semmai una forma di disubbidienza civile.
Mi ha fatto pensare ad Antigone, che volendo seppellire il fratello Polinice disubbidisce alla legge di Creonte. La sua non è una lotta contro la legge, ma un atto di resistenza immediatamente ispirato da altre leggi - pietà, amore fraterno - che esistono da prima e da sempre.
Come dice la femminista Rebecca Solnit, si tratta di cambiare «l'immaginario del cambiamento».
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