venerdì 27 novembre 2020
Furono tante le grandi figure di donne rivoluzionarie nell'Ottocento e nella prima metà del Novecento, la più grande di tutte quella di Rosa Luxemburg, pari e forse superiore per determinazione morale e intelligenza politica ai Lenin, ai Trotski e ai Gramsci... Ho fatto in tempo a vedere, non a conoscere, una di loro, Angelica Balabanoff, quando prese parte a un qualche comizio cui assistetti da ragazzo, in visita a Roma da parenti proletari e socialisti, mi pare in piazza Santi Apostoli, dove anche mi capitò di assistere a un comizio di sinistra cui prendeva parte una anziana signora che sui manifesti era chiamata “Ernesta vedova Battisti”, la vedova di Cesare, il martire della prima guerra mondiale di cui avevo studiato sui libri di scuola, che però non dicevano che era socialista... Della Balabanoff ho il vago ricordo di una donna piccola e grassoccia e piena di energia. Della generazione delle Emma Goldman e delle Kollontaj era molto più giovane della Kuliscioff, la grande leader socialista, ed era come lei di origine russa ma vissuta in più paesi europei, in fuga dallo zarismo e come organizzatrice politica multilingue. Un'altra cosa sapevo di lei, un pettegolezzo che più tardi mi venne confermato dai suoi libri: era stata amante del giovane Mussolini, con la Sarfatti una delle sue due amanti ebree, al tempo in cui era pari a lui nella direzione del Partito socialista e dell' “Avanti!”. Nel 1945 scrisse proprio per le edizioni del rinato “Avanti!”, un pamphlet su di lui intitolato Il traditore, una descrizione spietata dei suoi limiti, soprattutto di quelli caratteriali e morali, del suo immane narcisismo e del suo spregiudicato opportunismo. Balabanoff, morta a Roma nel 1965, fu a Mosca segretaria dell'Internazionale ed ebbe a suo collaboratore Victor–Serge, che parla diffusamente di lei nelle sue memorie e dice che le sue obiezioni morali avevano il potere «di esasperare Lenin e Zinoviev»... Ruppe ben presto col bolscevismo ma senza smettere di considerarsi una rivoluzionaria a tempo pieno, da un paese all'altro d'Europa e infine in Italia, dove prese la tessera del partito di Saragat, ma dichiarandosi fino all'ultimo “massimalista” e rivoluzionaria. Le sue memorie, scritte nel 1938, vennero tradotte da Feltrinelli nel 1979: La mia vita di rivoluzionaria. Rileggo con una certa emozione le ultime righe di questo libro rigorosamente antistalinista: «Sono fiera di aver vissuto e lavorato con gli artefici di un nuovo ordine sociale. Molti di loro sono oggi morti o sconfitti, in esilio o nei loro paesi. Ma una nuova generazione prenderà il loro posto, per costruire con più saggezza e più successo sulle fondamenta che noi abbiamo posto». È ancora attuale, questa speranza? In ogni caso, le storiche e gli storici dovrebbero soffermarsi di più su personaggi come Angelica, ricordando la sua insistenza sull'importanza delle donne nella storia delle rivoluzioni.
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