sabato 9 dicembre 2017
Ritaglio (“Italia Oggi”, 5/12, p. 13) Gianfranco Morra, uomo di fede diversamente declinata rispetto a tante altre tra cui la mia, racconta «Un brano di S. Francesco apocrifo» e rimanda a Buddha, Schopenhauer, Nietzsche, Jasper e varia umanità per scolpire un'affermazione secca: «Il Cristianesimo viene definito dai fenomenologi “religione dell'amore”. Tutti gli studiosi hanno mostrato che la compassione e l'amore sono antitetici... La compassione nasce dal disprezzo per sé e per gli altri... il Cristianesimo, invece, figlio dell'ebraismo, non considera l'essere come male, ma come “molto buono”...» Non sono d'accordo. Mi pareva che la vera Esèd, nel linguaggio biblico “compassione”, è carica di vero amore, riconoscimento dell'altro come “prossimo”, e addirittura unico inveramento di quel «lo avete fatto a me» di Gesù (Mt. 25) che come spesso ricorda papa Francesco è il «nucleo cui tutto si riduce», unico essenziale elemento di salvezza, terrena ed eterna. Avevo messo da parte il ritaglio che però ieri è tornato su con la dimostrazione che non è vero che compassione e amore siano contraddittori, e da una pagina insospettabile su cui spesso si “declina” la fede con toni e modi vicini a quelli di Morra: sul “Foglio” trovo, infatti, una sintesi del discorso del nuovo arcivescovo di Milano Mario Delpini alla città nel giorno di S. Ambrogio, e dedicato al “buon vicinato” nella comunità civile ed ecclesiale, la cui conclusione mi pare perfetta: «Possiamo dire con fierezza che non ci siamo mai tirati indietro (…) come una compassione – proprio così, ma il corsivo è mio ndr – indiscriminata per ogni bisogno, per ogni lacrima, come uno spazio aperto per ogni fede, per ogni convenire, per ogni sogno». Da S. Ambrogio a oggi, ma non solo, da Gesù di Nazareth, anzi da Abramo ad oggi amore e vera compassione sono una sola cosa, in Dio e nella umanità creata da Lui, fino alla eternità...
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