martedì 23 settembre 2014
La sola cosa che so con certezza, è che lui non è dietro a quella pietra bianca, al cimitero. Quella lapide mi sembra anzi quasi un inganno, che afferma qualcosa di non vero. Mio padre è morto da oltre vent'anni, e spesso ho sognato che vive in una sorta di città invisibile, costruita sopra a Milano. Ci si sale con una teleferica su cui non c'è mai nessuno, e si arriva in questa strana altra metropoli di prati e vigne, e glicini fioriti sui muri. Un giorno invece, per strada, dalle parti del Parco, ho visto un vecchio, di spalle, che era identico a lui: la stessa andatura, la stessa giacca che gli pendeva un po' storta. Allora, sbalordita, ho allungato il passo per raggiungerlo, ma in quel mentre un autobus mi è passato davanti: e quando se ne è andato, il vecchio non c'era più – sparito nel niente. Sei soltanto una sciocca, mi sono detta allora, e ho ripreso a camminare verso casa, a capo chino. Certe volte però, quando indecisa soppeso una decisione difficile, una scelta audace, mi pare di sentirlo, quando si arrabbiava con me diciottenne e sventata, e mi gridava: “Ma tu sei matta!”, e per la arrabbiatura la faccia gli si imporporava.E ancora lo vedo quando dal pianerottolo, mentre io mi chiudevo la porta dell'ascensore alle spalle, mi diceva ogni volta: “Mi raccomando!”, e io sorridevo, nello specchio della cabina, di quella vaga e sempre uguale raccomandazione. Ma anni fa, ricordo che dovevo andare per servizio in un Paese africano percorso da una guerra civile, e avevo un po' di paura. Poche notti prima della partenza feci un sogno. Nel sogno avevo addosso un vecchio impermeabile largo e sdrucito. Mettevo le mani in tasca e trovavo di tutto: fazzoletti, sigarette, chiavi, biro, monete straniere. Non è mio questo impermeabile, mi dicevo, ma in quel momento lo riconoscevo: era il vecchio Burberry liso con cui mio padre, inviato di guerra, aveva fatto il giro del mondo. E nel vedermelo sulle spalle capivo: non c'era da avere paura in Africa, con quel suo mantello addosso non dovevo temere niente.Lui è morto da tanto ormai, ma è strano come ad ogni anno che passa me lo sento più vicino. Come silenziosamente accanto. Guido sull'autostrada e mi accorgo che adesso guardo le cascine e i filari di pioppi come li guardava lui, con la nostalgia di una vita nei campi che non aveva vissuto. E ai figli, quando escono, vorrei dire io, ora, “mi raccomando!”: ma penso a come sorridevo da ragazza a quella sua esortazione nello specchio dell'ascensore, e, sorridendo, taccio.
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