domenica 10 luglio 2016
«È un primo passo. Ma un passo cruciale». Così gli attivisti per i diritti civili hanno celebrato la decisione del giudice di Seattle, Thomas Zilly, di trasformare in collettiva la causa portata avanti dall'American Union for Civil Rights per dare un avvocato d'ufficio ai baby migranti. Finora, la maggior parte di questi ultimi ha dovuto difendersi da solo di fronte ai tribunali chiamati a pronunciarsi sul rimpatrio. Pochi, infatti, degli “indocumentados” arrivati negli Usa da Centroamerica e Messico hanno i mezzi per pagare un legale privato. E, dato che si tratta di cause civili, lo Stato non è tenuto ad assegnarne uno. La vergogna dei bimbi di tre, quattro anni, soli, davanti ai magistrati, ha suscitato da tempo aspre critiche da parte di associazioni laiche e religiose. Anche perché, senza un avvocato, le possibilità di scampare alla deportazione e ottenere il rimpatrio calano drasticamente: secondo l'organizzazione legali specializzati in questioni migratorie, il 93% dei migranti che si difendono per conto proprio viene rispedito indietro. Da qui la scelta dell'American Union, nel 2014, di ricorrere in giudizio accusando i dipartimento di Giustizia, per la Sicurezza nazionale e di Salute e servizi sociali di violare il diritto dei minori ad un'adeguata rappresentanza. Il procedimento riguardava un gruppo di 12 baby migranti. Ora il tribunale di Seattle ha deciso che il caso non si riferisca più solo ai 12 ragazzini in questione ma alle migliaia e migliaia di piccoli – oltre 38mila quelli fermati nei primi otto mesi dell'anno – a rischio deportazione.
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