mercoledì 10 ottobre 2018
Al ristorante Casin del Gamba di Altissimo, paesino sopra Valdagno nel Vicentino, in questi giorni cucinano un fungo gigante, la vescia, che cresce ad anni alterni e soprattutto qui. Al Nove di Alassio, dentro lo splendido parco di Villa della Pergola che è stato strappato alle possibili speculazioni, il cuoco Giorgio Servetto prepara i piatti con le farine di un mulino dell'entroterra ligure che lavora secondo le sue indicazioni. Al ristorante Or di Grintorto il piatto più gettonato di questi mesi si chiama «Il giardino delle meraviglie» ed è un concentrato di consistenze diverse di vari ortaggi di stagione. Peppe Zullo a Orsara di Puglia dimostra cosa può fare un cuoco contadino, che dal suo orto trae lo spunto per una cucina unica.
Sono solo alcune delle tavole memorabili che abbiamo registrato quest'anno. E si potrebbe continuare, per dire che il nuovo corso della cucina italiana è sempre più legato alla terra d'origine. Ristoratori e contadini, cuochi e mugnai hanno stretto un patto che è una risposta efficace all'omologazione delle grandi catene del food, ma anche a quella ristorazione che è si omologata verso l'alto, con materie prime costose che arrivano – uguali – ad ogni latitudine del Paese. È questa la novità, ben superiore alle stelle, ai cappelli e alle corone che verranno. I ristoranti italiani possono diventare il motore di un'economia agricola che sceglie la strada della distinzione, antidoto a qualsiasi assalto commerciale.
Nei giorni scorsi Pietro Leemann, cuoco green che lavora a Milano, ha dichiarato con sorpresa che anche il cibo può avvicinarci a Dio e che il corpo è come una pianta che assorbe dalla terra ciò che è indispensabile. Non è da tutti avere questa sensibilità, che è diversa dall'ansia di prestazione messa in scena ogni giorno dalle trasmissioni televisive che mettono in gara le ricette. Il cibo ha un valore culturale, nella misura in cui rappresenta l'ordine dell'universo mondo in cui siamo immersi. E i giovani cuochi di oggi lo hanno capito, quasi voltando le spalle a caviale e aragoste, per fare un nuovo racconto.
Nel 2006, quando il ministero delle Politiche agricole promosse gli Stati generali dell'agricoltura con tutte le diramazioni di filiera, quindi anche la ristorazione, fui invitato a dare un contributo di idee. E dissi che incentivare la ristorazione che favoriva processi di sviluppo dell'agricoltura locale sarebbe stato un volano economico da non sottovalutare. Ma in realtà la proposta non fu presa in considerazione, con l'avvento poi dalle cucine in tivù a tutte le ore. Oggi, dopo 12 anni, il ministro Gian Marco Centinaio ha rispolverato l'idea, secondo la regola che la distinzione qualitativa l'abbiamo a portata di mano. E se son rose... fioriranno.
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