domenica 9 dicembre 2018
Un bambino di 8 anni va a trovare la nonna. La nonna è molto contenta. Lui, e il fratello più grande che ha 11 anni, sono degli adorabili nipotini. La nonna ha appena fatto il salame di cioccolato. Slurp! Ne taglia due fette generose spesse un dito, le mette su un piattino e dice al nipote con gli occhi che gli brillano golosi: tieni, una per te e una per il tuo fratello. Nonna e nipoti abitano a due passi. Il bambino si avvia leccandosi i baffi sennonché non s'avvede d'una irregolarità sul marciapiede. Ah, questi amministratori inaffidabili. Il bambino inciampa appena e ritrova subito l'equilibrio, ma il piattino intanto traballa e una fetta di salame di cioccolato scivola a terra, essendo tonda rotola lenta e inesorabile in mezzo alla strada e lì si accascia. E adesso? Il bambino ci mette un attimo a trovare la soluzione. Arriva a casa, mostra il piattino al fratello e gli comunica serio: la nonna ci ha dato due fette di salame di cioccolato; purtroppo la tua è caduta.
Ecco, questo bambino può essere serenamente definito un furbetto. Furbetti sono i marmocchi che si traggono d'impaccio con una trovata irregolare e ingenua, facile da smascherare, che muove al sorriso. Ci piace pensare che la mamma abbia risolto la questione convincendo il fratello più piccolo a dividere a metà la fetta del salame di cioccolata con il fratello più grande, al termine di una concertazione amichevole volta a riportare l'ordine nel cosmo familiare reso disordinato (e iniquo) dall'increspatura del marciapiede. Il furbetto, se ben educato, imparerà a applicare la sua ingegnosità – il cervello gli frulla arguto e veloce, ammettiamolo – verso la ricerca del bene comune, non solo dell'accaparramento predatorio che certo mondo applaude.
I furbetti sono questi e nessun altro, prego. E poiché le parole sono importanti, rivelando le intenzioni più profonde del cuore e illuminando gli angoli più oscuri dell'anima, smettiamola di definire furbetti i volgari truffatori, adulti, che con il bambino del salame di cioccolata non hanno nulla in comune. Negli ultimi giorni sono stati smascherati gli ennesimi “furbetti del cartellino”. Sono gli impiegati pubblici, dagli stipendi pagati grazie alle tasse versate dai cittadini che le pagano onestamente e non le evadono (come altri supposti “furbetti”), che timbrano il cartellino, fanno dietrofront e in ufficio non mettono piede, se non alla fine della giornata per il timbro di uscita. Oppure se ne vanno in anticipo, affidando il cartellino a un complice. Oppure... Insomma sono uccel di bosco. E intanto gli uffici si fermano, i servizi latitano, i tempi di attesa per i cittadini si dilatano. E non si riparano i marciapiedi.
Le cronache, tante ricche quanto presto dimenticate, sono generose e riferiscono di sedicenti “furbetti” di ogni area del Paese. Un elenco incompleto: 42 indagati a Palermo, 6 alla Reggia di Caserta, 14 alla Regione Friuli-Venezia Giulia, 8 all'Ufficio dogane di Arezzo, 8 alla Regione Toscana, 29 a Siracusa, 8 a Pompei. In Puglia, alcuni dipendenti dell'Agenzia regionale attività irrigue andavano al mercato con le auto di servizio, in orario d'ufficio, immortalandosi su Facebook. Tutti licenziati? No, meno di 4 su cento. La famosa retata del 2015 a Sanremo condannò 200 dipendenti su 470 sotto inchiesta. Dopo 3 anni il bilancio è di 32 licenziati, 23 ricorsi e un reintegrato.
Furbetti? Un cavolo. Questi sono mascalzoni, bricconi, truffatori. Adulti e senza diminutivi né vezzeggiativi. Parolacce o paroline che siano, le parole sono importanti. Almeno quanto il salame di cioccolato per un bambino di 8 anni.
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