«Ma non siamo mica una farmacia!», sbottò così a Verona, cinque anni fa in un convegno, il cuoco Matteo Scibilia davanti alla richiesta di avere nella sua cucina tutta una serie di alternative per chi soffriva di particolari patologie. Oggi leggiamo che l'Unione Europea impone la trasparenza nei menu (l'obbligo scatta dal 13 dicembre), ossia un bugiardino, come quello che si trova nelle scatole delle medicine, che indichi la presenza nelle ricette di uno dei 14 nutrienti che stanno alla base delle principali allergie. Quali? I cereali con glutine, le uova, i semi di sesamo, la soia, il latte e il lattosio, ma anche i pesci, in particolare molluschi e crostacei, e poi i lupini, la frutta in guscio, la senape, il sedano fino alla presenza di solfiti se superiori a determinati limiti. Insomma, una rivoluzione, o meglio un fulmine a ciel sereno che coglie impreparati tutti, anche perché questi alimenti, spesso, si nascondono nelle materie prime con cui vengono cucinati i piatti, per cui occorrerebbe almeno che tutta la filiera si adeguasse, dicendo la verità (e c'è il fondato sospetto che qualcuno non lo farà). Il mondo della ristorazione italiano ha immediatamente protestato, mettendo sul piatto un onere di 50 milioni di euro per adeguarsi a questa norma, che magari anticipa quella dell'obbligo di denunciare le calorie di ogni piatti servito, che sta entrando in America. Con il rischio che prima di mangiare in una trattoria, ci venga consegnato un manuale lunghissimo nel quale, in teoria, ci si mette al riparo dalle paure dei giorni nostri. Del resto si parla di 8 milioni di soggetti allergici a qualche alimento, addirittura 12 milioni gli intolleranti, mentre i celiaci diagnosticati ad oggi sarebbero un milione e mezzo. Detto questo, bisogna anche prendere atto che la norma comunitaria rischia di ingolfare burocraticamente un intero settore, secondo il principio per cui più norme si introducono più ci si sente a posto con la coscienza. Ma fino a ieri come ci si comportava? Con il dialogo, con il rapporto diretto tra cliente e ristoratore. Per cui chi ordinava un piatto si informava dal maître o dal cuoco e, quasi sempre anche se non sempre, tutto filava liscio. Ora, invece, occorre scrivere un trattato, che tuttavia può avere anche una valenza positiva: impone di conoscere sempre più a fondo gli alimenti e di aprire gli occhi su una società sempre più malata, anche dal punto di vista psicologico. Sono i clienti di domani, se non già di oggi. Sono quelli che (ed ecco un'altra tendenza) affollano i locali con i tavoli comuni, dove mangi gomito a gomito con uno sconosciuto, e questa non è più un'obiezione. È solo la lampadina che anche la solitudine sta diventando una patologia. E si va dall'oste, prima che dallo psicologo.
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