sabato 20 giugno 2009
L'hanno portato alla rovina, poi se la sono squagliata. Ecco a voi Marcello Lippi, sorta di antico, scrostato e sconsolato Nettuno con un vecchio, arrugginito tridente in pugno: è l'icona del giorno dopo, il momento in cui l'Italia riuscì a perdere con l'Egitto, mettendo fine a una prevalenza storica che l'ultima volta (nel '54) era stata firmata da una doppietta di Giampiero Boniperti.
I drammi calcistici italiani hanno nomi simbolici: nel contesto del Mondiale, la Corea vuol dire sconfitta epocale; il ruolo che d'ora in poi avrà l'Egitto quando si parlerà di questa incerta e insolita Confederations Cup. Ma torniamo al tridente. Povero Lippi, sedotto e abbandonato. Le cronache di Johannesburg hanno improvvisamente perduto traccia dell'Audacia del Mister, di quell'atteggiamento offensivo che gli era stato raccomandato dai sapientoni mediatici per far risultato e bella figura schierando tre punte che sono rapidamente andate a sbattere contro una insuperabile difesa a uomo (Iaquinta, Rossi e Quagliarella, poi Iaquinta, Toni e Pepe).
È vero che - dopo un primo tempo sciagurato in cui s'è palesata la sorpresa degli azzurri davanti alla solidità fisica e alla qualità tecnica degli egiziani, peraltro già esibite contro il Brasile - nella ripresa l'Italia è parsa più tonica ed efficace all'attacco: ma non confondiamo, come ha fatto Lippi, la forza della disperazione con un atteggiamento risoluto punito dalla sfortuna: la forza di Iaquinta, unico positivo degli azzurri, ha rivelato che se avessimo giocato con una sola punta e un centrocampo meno sguarnito avremmo ottenuto miglior sorte.
Basti pensare al povero De Rossi, sempre più allontanato dal suo ruolo naturale, connotato come difensore aggiunto e fatalmente portato a realizzare l'errore che ha provocato il gol di Homos. Ma c'è di più: fin dalle prime esuberanti note di cronaca di una partita ch'era stata annunciata come una sorta di verdiana "Marcia Trionfale" e s'è tradotta in una farsa dal titolo "Mummie d'Italia", s'è notato con quanta sufficienza venisse considerata la difesa a uomo del tecnico egiziano Shehat. Trattato come una sorta di redivivo Oronzo Pugliese, il Mister dei Faraoni ha dimostrato che nel calcio nulla si crea, ma soprattutto nulla si distrugge: si cerca solo di adattare la formazione a quella dei rivali; Lippi l'aveva annunciato, e ha sbagliato la scelta tattica e quella degli uomini; Shehat ha portato la sfida sul terreno di gioco e l'ha vinta, esibendo fra l'altro un gran portiere, El Hadary, che evidentemente supportava la sua scelta di difendersi e colpire in contropiede.
La sconfitta, per fortuna, è di così facile lettura che Lippi potrà correre rapidamente ai ripari contro un Brasile che dall'Egitto lunedì scorso ha preso tre gol. Sennò, tutti a casa. Scaramanticamente soddisfatti. Perché - si sa - chi vince la Confederations Cup, poi un anno dopo non vince il Mondiale. Ma giocando così non si vince neanche la Coppa del Nonno.
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