mercoledì 29 luglio 2015
​Ernesto Damiani, docente di Fisiopatologia generale nell’Università di Padova, ha messo un punto (quasi) fermo alle ricerche e alle congetture sulle cause della morte di Alessandro Magno. I risultati delle sue indagini attraverso la sconfinata bibliografia in argomento, condensata in grafici e tabelle, sono raccolti sotto il titolo La piccola morte di Alessandro il Grande (Marsilio, pagine168, euro 17,00): rispetto alle gesta grandiose dell’immenso condottiero e re, la morte è “piccola” perché causata da un umile tifo addominale. La diagnosi di Damiani privilegia le fonti di Plutarco (ca 46-120/127 d. C.) e di Arriano di Nicomedia (ca. 95175 d.C.) rispetto alle relazioni di Diodoro Siculo, di Giustino e di Quinto Curzio Rufo, lacunose e immaginifiche. Plutarco e Arriano, invece, hanno potuto basarsi sui Diari realiquotidianamente redatti da Eumene di Cardia, primo segretario di Alessandro, e da Diodoto d’Eritrea, suo assistente. Ecco perché le cronache di Plutarco e di Arriano sono concordi, ed è commovente seguire giorno per giorno le due settimane di malattia di Alessandro, durante le quali il re rimase cosciente nonostante la febbre, e non smise di offrire sacrifici, prendere bagni, impartire ordini, giocare ai dadi per un’intera notte con il fido Medio. All’antivigilia della morte, quando le condizioni di Alessandro erano ormai gravissime, i soldati vollero vederlo per un’ultima volta e temendo che la sua morte fosse stata occultata dalle guardie del corpo, si aprirono la via con la forza. «Dicono che fosse ormai completamente senza voce – scrive Arriano – mentre l’esercito sfilava accanto a lui; tuttavia, li salutò, uno per uno, sollevando appena la testa e lievemente accennando con gli occhi». Era il 28 Daisio sera, cioè tra il 10 e il 13 giugno del 323 a. C.. Alessandro aveva 32 anni. Il meticolosissimo Damiani scarta le ipotesi di morte per avvelenamento o per assassinio che a lungo hanno alimentato il mito dell’eroe: sono incompatibili con le descrizioni dei Diari reali. La sintomatologia clinica esclude anche la malaria, l’eccessiva assunzione di vino (Alessandro era notoriamente gran bevitore), l’encefalite del Nilo occidentale, malattie suggerite da altri autori. Soltanto verso la leucemia Damiani ha qualche ragionevole dubbio, privilegiando comunque il tifo addominale. Ho usato il libro di Damiani come antidoto realistico dopo la lettura dell’affascinante testo di Michail Kuzmin, Le imprese di Alessandro il Grande(Raffaelli Editore, pagine 88, euro 15,00). Kuzmin (1872-1936) è un eccentrico poeta russo, traduttore di Rimbaud, Shakespeare, Ovidio, Casanova; collaborò anche con i Ballets russes di Djagilev e dopo la rivoluzione del 1917 venne gradualmente emarginato. Kuzmin iscrive Alessandro a tutto tondo nel mito, compresa la nascita non da Filippo il Macedone, ma dal dio egizio Ammone con l’intermediazione del mago Nectaneb. Anche la morte del re sarebbe dovuta al veleno somministratogli dal coppiere Ila, istigato dell’infedele luogotenente Antipatro. È travolgente, nella narrazione di Kuzmin, seguire Alessandro nelle imprese in Egitto e in Grecia con la distruzione di Tebe, a Gerusalemme, nel lungo e vittorioso confronto con Dario re dei persiani, in colluttazione con il re indiano Poro. Il tutto con incontri ariosteschi di tigri monocole, leopardi a sei zampe, amazzoni e perfino con la Gorgone. «C’è qualcosa di sottilmente segreto nel libro di Kuzmin – ha critto il curatore, Davide Brullo – il tentativo, forse, di misurare la gloria umana. Perché anche Alessandro, il re che ha compiuto l’impresa (fallita) di fondere l’Occidente con l’Oriente, che è giunto fin dove mai nessuno prima (secondo la misera prospettiva greca, però), muore, e dalla “gloria imperitura” scaturiscono rancori senza fine».
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