martedì 2 giugno 2015
Il giorno dopo lo schiaffo del San Paolo, Aurelio De Laurentiis vola - dicono - verso la Spagna. Vorrebbe portare - dicono - Unai Emery, basco di Hondarribia, quarantatreenne tecnico del Siviglia, a sedersi sulla panchina di Benitez, come se il trono di spade chiedesse o meritasse una continuità ispanica in un Paese dove la natura calcistica è del tutto diversa. Una differenza tecnica e tattica ch’è costata a De Laurentiis un centinaio di euromilioni e la sconfitta più cocente: l’esclusione del Napoli dall’Europa che conta, mettendo uno stop dolorosissimo al suo progetto di conquista del mondo, del pianeta anzi, se non della galassia. Emery è sicuramente bravo: non ha solo vendicato il Napoli battendogli il Dnipro nella finale di Europa League, ma ha già vinto quella Coppa, un anno fa, battendo la Juve, la Nemica che Don Aurelio sogna di sconfiggere anche se ingaggia tecnici che nel frattempo si fanno battere dall’Atalanta, dal Chievo, dal Palermo, dal Sassuolo, dal Verona, dall’Udinese, dalla bella provincia italiana che gli ammolla anche a caro prezzo campioni presunti; ama tecnici come Don Rafè che non hanno nessuna intenzione di studiare il Catenaccio cui applicare moduli esotici insieme a certe virtù magiche - anche diversamente definite - come capitò quella notte del 25 maggio del 2005 a Istanbul, quando il Milan sprecò un vantaggio di tre gol e porse la Coppa dalla Grandi Orecchie al mister del Liverpool che di quel trionfo gode ancora. Molti sapientoni hanno sposato la causa persa di Benitez anche quando questi, un paio di settimane fa, se n’è uscito con una volgare definizione del calcio italiano, cercando di farsi Mourinho senza averne il carattere, la cultura, la competenza: e nessuno a ricordargli che in questo bel Paese, anche in tempi di crisi, s’è preso in due anni sette milioni (quattordici miliardi) lasciando dopo il biennio d’oro un bilancio sportivamente mediocre (un paio di Coppe) e finanziariamente disastroso: soprattutto, un futuro imperscrutabile, a partire dalle possibili fughe di giocatori come Higuain e Callejon. Don Aurelio vuol bene al Napoli, l’ha preso fallito e l’ha portato fino alla prima Europa (con l’onesto Reja) e alla Champions diretta (con Mazzarri, visionario operoso); gli vuol tanto bene da esserne gelosissimo, al punto di non accettare accanto a sé persone in grado di consigliarlo o fermarlo prima di far passi rischiosi (l’orgoglioso Bigon ha scelto d’andarsene, altri purtroppo restano). Il club restituito a grandezza da Mazzarri - tatticamente lamentoso dove il lamento è politica - è stato portato ad aver bisogno non di un restauro ma di una vera rifondazione, a cominciare da un tecnico che sia dotato sì di personalità ma non d’arroganza al punto di pretendere uno stadio nuovo, un centro sportivo d’alto livello e mano libera sul mercato, come propose Benitez dopo aver perduto - da Bilbao a Varsavia, fino a domenica con la Lazio - tutte le occasioni per incrementare il budget societario. Oggi Napoli detesta De Laurentiis, sbagliando, perché la rinascita del club porta la sua firma, e pretende da lui l’impossibile, ovvero spese folli per rifare la squadra. E invece serve solo l’ingaggio di un tecnico esperto e lavoratore, umile e battagliero, oserei dire un italiano vero. Ma non faccio nomi, non è il momento. Posso solo dire che dovrebbe somigliare a Walter Mazzarri.
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