Agamben ,“teologo e politico” a caccia della rivoluzione perenne
venerdì 20 febbraio 2015
Il nostro filosofo oggi internazionalmente più noto e discusso, Giorgio Agamben, ci offre in circa ottanta pagine uno studio genealogico sull'idea di guerra civile. Si tratta di un ulteriore pannello della sua opera di filosofia politica Homo sacer, il cui primo volume risale a venti anni fa. Nel libro, pubblicato presso Bollati Boringhieri con il titolo Stasis (in greco “sollevazione”, “rivolta”), la guerra civile è studiata «come paradigma politico». L'autore precisa che si tratta di due seminari tenuti a Princeton nel 2001, sulla cui attualità oggi, in tempi di «guerra civile mondiale», si potrebbero avere dubbi. In effetti nella polis la stasis era concepita e vissuta in un modo per noi sorprendente. Si trattava secondo i Greci di un fenomeno fisiologico attraverso il quale l'ordine politico, temporaneamente sconvolto, veniva più tardi ristabilito in una rinnovata, superiore armonia. Con la guerra civile l'impolitico superava conflittualmente la soglia della sua esclusione, destabilizzando la cittadinanza precedentemente fissata. Il focus dell'attenzione è nell'ambivalenza della guerra civile, che è sì guerra, ma è anche passaggio obbligato che migliora l'ordine della polis. Le colpe commesse nel corso di una guerra fratricida, i Greci fraternamente le cancellavano a guerra conclusa, disattivando così ogni “cattiva memoria” futura. Nel secondo seminario Agamben interpreta gli emblemi enigmatici del Leviatano di Hobbes. Qui la dialettica è fra popolo come volontà unitaria (che si riassume nel sovrano) e popolo come moltitudine («elemento impolitico sulla cui esclusione si fonda la città»). È proprio un concetto politico fondamentale come quello di “popolo” a essere scisso e contraddittorio, poiché è sia presente che assente nella dimensione del potere e dello Stato. In quanto presente, fa parte della sovranità e governa, in quanto escluso e assente è il soggetto (potenziale o reale) della guerra civile. Per arrivare da idee così generali a un giudizio politico sulle guerre civili in corso, il passo non è breve. Non so se mi sbaglio, ma quando leggo Agamben teologico-politico, la mia impressione è questa: mentre Benjamin nascondeva un'impresentabile teologia dietro il marxismo, oggi mi sembra che Agamben cerchi nella teologia un'idea perenne di rivoluzione che è difficile trovare altrove.
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