sabato 9 febbraio 2019

Stiamo vivendo una stagione inedita nel rapporto tra imprese e politica, non solo a livello italiano. Perché è difficile ricordare una fase di contrapposizione così netta di strategie, comportamenti e interessi tra la classe politica al governo e quella imprenditoriale. Emblematico è l’appello congiunto lanciato da Confindustria e Medef al presidente del Consiglio italiano e al presidente della Repubblica francese. L’impegno (e insieme l’invocazione) comune di Vincenzo Boccia e Geoffroy Roux de Bezieux – «L’economia unisca ciò che la politica divide» – rappresenta una mossa inedita, che sottolinea quanto si siano divaricate negli ultimi mesi le traiettorie della politica da quelle dell’economia e quanto sia cresciuto il livello preoccupazione da parte dei principali player economici di entrambi i Paesi. L’estremizzazione della campagna elettorale su scala inter-governativa non è più semplicemente un "gioco della parti", in sostanza, ma rischia di produrre danni seri all’integrazione europea e alle singole economie nazionali. Danni esponenzialmente superiori per l’Italia, più debole (rispetto alle altre potenze europee) sia sul piano della finanza pubblica che della capacità di crescita potenziale. Eppure la posizione del Governo italiano non sembra tener conto di questo aspetto. Alle gravi tensioni con la Francia si sommano infatti quelle (meno visibili ma significative) con il governo tedesco, protagonista di un nuovo asse politico-economico proprio con la Francia dopo il recente trattato di Acquisgrana che ha rafforzato la cooperazione tra i due Paesi su molti fronti, dall’economia e la difesa. Ma quali conseguenze avrebbe una contrapposizione netta e duratura dell’Italia all’asse franco tedesco? Sul piano politico, il nostro Paese rischierebbe di delegare ai due partner-competitors ogni scelta rilevante sul futuro dell’Unione Europea. Lo scenario potrebbe essere ancora peggiore sul piano economico-commerciale: basti pensare che la Germania rappresenta il 12 per cento del totale del nostro export e la Francia il 10 per cento. Si tratta dei due principali mercati di sbocco delle nostre produzioni. Una condizione di (stabile) isolamento, dunque, è un "lusso" che le nostre imprese e l’intero sistema-Paese non possono permettersi. A maggior ragione in una fase economica recessiva e dopo quasi 20 anni di minore crescita rispetto alla zona euro. Consapevoli di ciò, possiamo solo sperare che l’interesse nazionale torni a prevalere rapidamente sugli istinti elettorali.

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