mercoledì 13 maggio 2015
«Durante alcune riunioni sindacali, in cui si discuteva all'infinito di come risolvere il problema di chi da 40 giorni non ha più l'acqua calda in casa, a me è venuta un'idea semplice: offrire un bagno, quello di casa mia, a chi ha bisogno di una doccia non gelata». L'esemplare storia arriva da via Giuseppe Turri, un quartiere popoloso vicino alla stazione ferroviaria di Reggio Emilia. Qui un'immigrata marocchina di 35 anni, 33 dei quali trascorsi in Italia, Khadija Lamami, ha fatto la proposta in pubbliche riunioni e su Facebook («sono già una sessantina gli aderenti alla pagina A.A.A. DOCCIA calda offresi e spero che altri seguano l'esempio»), tanto che «alcuni sono già venuti per usufruire del servizio». Nella zona cittadina ad alto tasso immigrazione, dal primo aprile la società che gestisce acqua e gas ha chiuso i rubinetti dell'acqua calda a un centinaio di famiglie, comprese quelle in regola coi pagamenti delle bollette (gli impianti sono centralizzati), a causa dei debiti accumulati da vari inquilini di alcuni palazzi. «È un'ingiustizia – racconta l'impiegata Khadija, cittadina italiana a tutti gli effetti – ma io so che cosa vuol dire essere immigrata e ho nel mio Dna la storia dell'immigrazione. So però anche che Reggio Emilia mi ha accolta e mi ha fatto diventare una persona migliore. Ecco perché trovo civile aprire la mia casa e la mia doccia, in attesa che altri (politici e sindacalisti) trovino una soluzione». Un gesto giudicato di rara generosità. Replica Khadija: «È semplicemente un gesto d'integrazione umana».
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