martedì 7 febbraio 2017
Ci sono domande che da sempre stanno in agguato. Possiamo evitarle, tentare di schivarle o di non parlarne per lungo tempo, ma dentro di noi sappiamo che questo gioco a nascondino ha un prezzo. Sottrarvisi è sottrarci, mancare alla chiamata che la vita ci fa. Una di queste domande è collegata al desiderio, e nella forma più incisiva e personale può essere formulata così: "Qual è il mio desiderio?". Il mio desiderio profondo, quello che non dipende da nessun possesso o necessità, che non si riferisce a un oggetto ma al senso. "Qual è il mio desiderio?". Il desiderio che non coincide con le quotidiane strategie del consumare, bensì con l'ampio orizzonte del portare a pienezza, della realizzazione di me come persona unica e irripetibile, della consapevolezza del mio volto, del mio corpo fatto di esteriorità e interiorità (entrambe vitali), del mio silenzio, dei miei convincimenti. La domanda "qual è il mio desiderio?" non la incontreremo senza prima aver acconsentito al viaggio che inizia solo quando avremo osato entrare in noi stessi. Quando ci disporremo a comprendere quel che è in noi fin dal principio. Ma questo deve rallegrarci, poiché, come ricordava Françoise Dolto, «quando un essere umano avverte in sé un desiderio abbastanza forte da assumersi tutti i rischi del suo proprio essere, vuol dire che è pronto a onorare la vita di cui è portatore».
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