domenica 4 giugno 2006
«Abusi»: argomento attuale anche nel piccolo. Capita ai cristiani di lasciarsi usare in modo offensivo della verità: è un abuso. Venerdì su Radio Radicale, di giorno e di notte, va un'intervista ad un pastore e teologo valdometodista che spinto da domande miratissime e pregiudiziali spara a zero su Benedetto XVI in visita ad Auschwitz e sul Catechismo cattolico, per lui ancora intriso di antisemitismo e di odio antiebraico per l'accusa di deicidio, e che va "radicalmente cambiato". Così: netto e con altre ruvidezze accluse. Non pare un buon esempio di dialogo tra cristiani. Tra l'altro il tema di razzismo e antisemitismo, da Lutero in poi e fino alla Shoàh, è scottante per tutti, e i "mea culpa" sono già stati fatti. Impugnarlo per polemizzare tra chiese è abuso e ingiustizia: fraternità e dialogo guardano avanti. Altro abuso, stavolta in casa cattolica. "L'Espresso"(25/5, pp. 83-84): "Ma Dio non è lo Stato". Muovendo dalla distinzione evangelica tra Dio e Cesare, e trascinato dalla furba intervistatrice un uomo di chiesa, pur sperimentato come pochi, pare far sua la tesi laicista per cui da noi la Chiesa cattolica è "troppo presenzialista" in senso mondano, "pretende che la sua etica diventi legge dello Stato" e quindi non rispetta la democrazia. Abuso e solito equivoco. E' chiaro che non tutto ciò che è moralmente peccato deve essere civilmente reato, ma non perciò Chiesa e cattolici sono tenuti a dare il loro consenso ad ogni legge che trasforma un peccato in diritto. In democrazia ciascuno vota con la coscienza sua, e poi la maggioranza conta. O i cattolici, come tali, debbono votare con la coscienza altrui?
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