sabato 12 ottobre 2019
Titoli discutibili e con lettura rovesciata. Leggi «La solitudine del prete, una virtù per il mondo» (“Foglio”, 7/10, p.1) e subito ti viene in mente la canzoncina imparata fin da bambino: «La solitudine si deve fuggir!». Solitudine: così, senza eccezioni! Anche quella «del prete»? Certo. Come quella di ogni uomo, e di ogni donna. Se poi si tratta di credenti, la cosa è ancora più evidente. Un figlio di Dio e fratello degli uomini, uomo di fede, non è mai solo. Anche un vero prete celibe... Si può essere soli, sul serio, anche accompagnati in apparenza da moglie e figli, ma nel buio. Un prete celibe, e davvero prete, è come tale accompagnato nella realtà dovuta da un pastore che è il suo vescovo, padre e fratello, dagli altri (con)fratelli che con lui servono la Ecclesia per il Regno di Dio in Gesù Cristo, e dalla sua gente. Mai soli! Del resto san Pietro dice sacerdozio regale quello dei fedeli come tali. E allora quel titolo è evidente figlio di un malinteso, che trabocca subito nel sommario: «Un prete con la suocera, la nuora, i figli, i nipoti e poi inevitabilmente con il divorzio, forse anche con il matrimonio omosessuale, è un calco umano, troppo umano del tempo che passa». Così? Può essere, ma può esserlo anche quello di un prete celibe, ma inaridito, immusonito, attaccato alla carriera e al denaro, capace di farsi servire come tale, ma non di servire. Comunque una virtù? Non si affronta un problema che è sotto gli occhi di tutti, Chiesa e società insieme, “buttandola in caciara” in modo sprezzante. Ma succede ancora, sempre in un titolo in argomento, e allora (“Repubblica” 10/10, p. 19: «Neppure il Papa può abolire il celibato dei preti») leggi che «nel Sinodo Trullano del 692 venne sciolta la legge del celibato, ma solo la Chiesa ortodossa vi aderì» (sic!). E dire che lo scisma che creò la Chiesa ortodossa fu nel 1054! La foga talora... affoga.
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