domenica 27 aprile 2014
Il “sensus Ecclesiae” sembra evitare Vito Mancuso, teologo di Repubblica. Giovedì scorso ha deplorato che altri due Papi siano dichiarati santi dalla Chiesa, perché «il cristianesimo è l’unica religione monoteista a riconoscere il fenomeno della Santità» (e già la santità come «fenomeno» e non come traguardo di tutti i credenti in Cristo, è una definizione che esigerebbe un contorno di molte glosse e obiezioni). In secondo luogo perché «non viene riconosciuta dal basso, dal popolo» ma dalla Chiesa (che è poi il popolo di Dio, quello che oggi invade Roma). Infine perché la Chiesa le darebbe una «valenza politica», come provano – scrive Mancuso – le canonizzazioni degli imperatori Costantino e Carlo Magno. Ora, a parte la scarsa freschezza di quei due “fenomeni” (il primo riguarda soprattuttola Chiesa Orientale, il secondo l’antipapa Pasquale III (1165) e solo due diocesi in Francia e in Germania), c’è da chiedersi dove fosse il teologo quando il popolo di Dio reclamava Wojtyla “santo subito” e, più o meno, la stessa cosa accadeva per il Papa Buono, e dove sia quando numeri incalcolabili di fedeli invocano in tutto il mondo l’intercessione di questi due Papi. Queste noterelle valevano già per i primi Santi (Stefano, Pietro, Andrea, Paolo…), per San Francesco e Sant’Antonio e valgono tuttora, sia pure a posteriori, per un numero quasi infinito di altri Santi: Teresina, Bernadette, Padre Pio... Infine è lo stesso Mancuso a smentirsi: «C’è molto ottimismo verso l’uomo nel dichiararne la santità». Appunto: riconosciuta dall’alto o dal basso, la santità non è decisa, ma solo «riconosciuta» dal Papa: un magistrato direbbe che la proclamazione è un “atto dovuto”, al quale la Chiesa non può sottrarsi e per il quale la «valenza politica» va a farsi benedire (cosa che, benevolmente, auguriamo di cuore anche a Mancuso). PER BENE MA BUGIARDE Bisogna «fermare le bugie sull’aborto farmacologico», scrivono sull’Unità (mercoledì 23) due noti ginecologi, Carlo Flamigni e Corrado Melega. Si tratta – dichiarano – delle bugie scritte da «influenti esponenti del mondo cattolico», che «si comportano in modo disonesto e irresponsabile, anche se il fatto che siano relegati a scrivere sui giornali meno importanti del Vaticano li dovrebbe ormai far considerare esclusi dalle discussioni con le persone per bene». Sarebbero «persone per bene» – se ne deduce – quelle che, favorendo l’aborto, mandano a morte milioni di bambini ancora in grembo e che, per ogni nato, provocano la morte di dieci embrioni in provetta; quelle che, in nome dell’eutanasia, lasciano che il malato muoia di sete e di fame. E quelle che scrivono di bugie altrui? La loro tesi è che «la norma etica» (per esempio “Non ucciderai”) non è sempre la stessa, ma «si forma e si modifica proprio perché[…] è molto sensibile alle intuizioni dei vantaggi che derivano dalla scienza» e non dal «complicato e scettico mondo delle religioni». Facciamo una prova di perbenismo. Flamigni e Melega scrivono: «Abbiamo chiesto delucidazioni ad alcuni esperti e in particolare a Christian Fiala» (è un ginecologo austriaco che a Vienna ha aperto un “Museo della contraccezione e dell’aborto”), il quale ha documentato che «si muore di aborto una volta ogni 100.000 interventi». Ciò significa che, quando le «persone per bene», ai tempi della 194, sostenevano che ogni anno in Italia gli aborti erano 3 milioni, le donne morte in conseguenza dovevano essere 30 e invece loro dicevano 25.000, ma allora, in base all’uno per 100.000, gli aborti sarebbero stati 2 miliardi e mezzo, cioè 6 milioni e mezzo al giorno, 278mila l’ora. Che certe «persone per bene» siano un po’ bugiarde?
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