A proposito dei martiri d'Algeria: perché tornare a parlare di un film
domenica 16 dicembre 2018
Con scelta chiaramente argomentata Emilia Flocchini, intendendo porre nella «Corona d'Avvento dei Testimoni» del suo blog "Testimoniando" ( tinyurl.com/y94bzdgq ) i martiri d'Algeria appena beatificati, lo ha fatto parlando del film Des hommes et des dieux (in Italia, Uomini di Dio), che nel 2010 raccontò la vita e la morte di uno specifico gruppo all'interno di quei martiri, quello dei monaci di Tibhirine. È certo infatti che per una determinata cerchia, ristretta quanto al grado di attenzione alla vita delle Chiese nel mondo, quegli anni fra il 1994 e il 1996 e quei 19 nomi sono rimasti incisi nella memoria, ben prima che il «fondamentalismo islamico» diventasse un tema fisso di discussione per la più vasta opinione pubblica.
E in particolare la vicenda dei sette trappisti è stata, per le riviste e gli editori specializzati, una delle storie di dialogo interreligioso più potenti e profondamente esplorate degli ultimi decenni, mentre mobilitava gli spiriti maggiormente sensibili: ricordo l'emozione con la quale un amico monaco mi prospettò l'ipotesi di andare a costituire un piccolo nucleo della sua comunità religiosa proprio là dove i trappisti erano da poco stati uccisi. Ma sono altrettanto convinto che la conoscenza più ampia e per alcuni la contemplazione di tale martirio debba molto al film di Xavier Beauvois: «Non ho affatto memoria di aver sentito parlare dei sette beati martiri di Tibhirine prima dell'uscita del film. Neppure avevo mai letto il testamento di padre Christian, in nessuna occasione», scrive Floccari; e non è solo una questione di anagrafe. Così come è ragionevole pensare che la beatificazione degli scorsi giorni avrebbe avuto un'eco meno ampia se il film – pur così lontano dal genere agiografico – non l'avesse preceduta. È un piccolo ma non trascurabile tassello del grande e incompletabile puzzle che ritrae la fede, la Chiesa e «l'attuale contesto comunicativo».
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