giovedì 18 luglio 2013
Pagine “tristi” da “scienza in pagina”? Sì. “Repubblica” (15/7, p. 29 quasi intera: «Il futuro dell'universo. Quei segreti del cosmo che nessuno capirà più») prospetta sventure fin dal sommario: «…le altre galassie si allontanano: non potremo studiare lo spazio come oggi. Rimarremo soli come in un guscio di noce…». Brutta notizia, a prima vista: cresce nell'universo «il ruolo dominante» dell'«energia oscura, che in concreto ci impedirà di studiarlo, e quindi di conoscerlo». Certezza triste, ma c'è di più: «…ancora più triste per i cosmologi del futuro, le radiazioni termiche (…) non saranno più visibili dalla Terra». Dunque futuro proprio nero: le «magnifiche sorti e progressive» saranno impossibili. Firma la pagina «John D. Barrow, professore di scienze matematiche all'Università di Cambridge». Poi però provi a rileggere con calma e poni quel “noi” così sicuro a confronto con qualche particolare che pure è importante. Ecco il primo: «…quando l'universo sarà circa sette volte più vecchio di com'è adesso… sarà come vivere dentro un buco nero». Sette volte più vecchio? Dunque miliardi di anni. Tra le tristezze, poi, la «notizia ancora più triste» è che «quando l'universo avrà appena 50 volte l'età che ha oggi» allora «i cosmologi» non potranno più studiare «le radiazioni termiche», e l'autore azzarda una data: “tra circa 5,5 miliardi di anni”. Beh! A Malpelo torna in mente la barzelletta del professore che nella sala annuncia la fine del mondo «tra 50 milioni di anni», e la vecchietta tutta spaventata chiede la conferma del numero e reagisce sollevata: «Ah! Per fortuna! Avevo capito 50mila!»
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