martedì 17 settembre 2013
«Diritto d'amore»: sabato, perentorio fin dal titolo Stefano Rodotà ("Repubblica", 15/9, p. 49) spiega «perché i sentimenti sfuggono alle regole» e dichiara «indicazione ineludibile» la Carta dei diritti dell'Unione Europea nella quale «matrimonio e altre forme di convivenza sono messe sullo stesso piano, e scompare il riferimento alla diversità di sesso». Scontato? Per lui sì, ma se e finché c'è libertà di pensiero e di parola è lecito o no a qualcuno – tra i pochi o tra i tanti è da vedere – pensare e dire che quel «sullo stesso piano» non lo trova d'accordo? E si potrà – quando si trattasse di tradurre o meno in legge italiana un'"indicazione" del genere – essere contrari pur riconoscendo che nel caso ci si trovasse in minoranza se ne prenderebbe atto? Certa laïcité ispirata alla Francia del dopo 1789 – Guillotin e la sua "macchina" compresi – non prende neppure in considerazione la liberté di coscienza di quei "cittadini" – lo sono ancora, vero? – che si trovano a pensare che matrimonio – come dice anche la nostra Costituzione – è realtà distinta da «altre forme di convivenza». Riconoscere differenze non è negare o sopprimere «le diversità», ma vederne la realtà. Si tratterà ovviamente di evitare in concreto – ci sono già leggi e altre vanno pensate – che la realtà comporti o continui a comportare discriminazioni e violenze, ma senza inventarne di nuove. In democrazia dire «ineludibile» a priori e in modo unilaterale ciò che non lo è diventa una scorciatoia che non ha nulla a che vedere col «diritto d'amore»: forzatura logica, e dialogica. Un problema reale non è "nodo gordiano": risolverlo con la spada – o con la ghigliottina – non è proprio il giusto modo.
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