venerdì 4 settembre 2015
​Èun'impressione personale, e spero di non offendere nessuno esprimendola, ma il tempo in cui i festival cinematografici e letterari e quant'altro avevano un significato attivo e propositivo è finito, ed essi o si trasformano in luoghi di confronto e discussione reali – sul modello, perché no? dei seminari universitari, dei convegni cui il pubblico può accedere, riacquistando una dimensione attiva e attivizzante – o è bene che accentuino senza mezzi termini, allontanando in tal modo il pubblico pensante ed esigente, la loro natura di fiera nel senso precipuo del mercato e dello spettacolo.Delle passerelle di nomi noti (essere noti, lo sappiamo bene, non equivale a essere bravi o utili) si è stanchi, perché verifichiamo da anni che non cambiano nulla nella testa delle persone. Se diventano più intelligenti, lo diventano sempre più per strade imprevedibili, legate soprattutto a esperienze e incontri personali e a letture scovate per vie diverse da quelle della pubblicità e del divismo. Eppure si insiste, e ogni paesino, ogni quartiere di città rivendica il suo festival, la sua sagra "culturale" da aggiungere a quelle mangerecce e vacanziere.D'altra parte, nel pieno dell'immane mutazione che il mondo sta vivendo, si ha pur bisogno di luoghi d'incontro e scambio, di formazione attraverso un'informazione mirata e il confronto con chi ne sa più di noi ma condivide le stesse preoccupazioni. Bisogna mettere in discussione modelli di comunicazione vecchi e compromessi e inventarne di nuovi, non mediati da macchine, internet o affini, ma proprio "faccia a faccia" tra pochi e motivati. Mi è capitato di leggere un'intervista fatta da un giovane regista algerino amico con Tahar Chikhaoui, che dirige a Marsiglia dal 2013 gli «incontri dei cinema arabi» e parla di una generazione di giovani registi che stanno in mezzo ai migranti, sulle frontiere, e filmano tra fiction e documentario essendo essi stessi parte di questi cambiamenti epocali.Nasce una cultura nuova, perfino in Italia, ma i festival si attardano sull'ipocrisia della denuncia buonista, e dell'autorialità (vera o presunta) milionaria, e quelli letterari trasformano in saltimbanchi anche autori e pensatori necessari, anche se quelli seri dovrebbero smetterla di stare al gioco narcisistico e venale del successo e della fiera. Si è stanchi di pubblicità e superficialità, di chiacchiere; bisogna tornare a esigere la sostanza, per capire e di conseguenza per fare.
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