domenica 5 aprile 2009
"Noi semplici sacerdoti e i proclami vaticani". Su "Repubblica" (2/4, p. 28) un «prete» affida i suoi sentimenti a un signore che tutti i giorni, su giornali e Tv, dopo un libro di 200 pagine, sostiene che Gesù era sì un bravo giovanotto, buono e sognatore, finito crocifisso come bestemmiatore, ma non ha mai pensato che in suo nome si sarebbe creata una religione, tanto meno una chiesa, figurarsi dei vescovi e dei preti! E questo prete lo fa per dichiarare pubblicamente di non riconoscersi più in questa Chiesa, di cui pure si firma «sacerdote». E Augias? Ovviamente si schermisce pudico, scrive «non sta a noi estranei giudicare» e manifesta il suo parallelo «sconcerto», ma è chiaramente felice che «un prete» si affidi a lui e al suo «magistero» in carta e teleschermi. Che dire? Tre cose. La prima è che nel testo il prete parla di «urgenze della comunità», che tuttavia per Augias è solo un'invenzione falsificante a uso di un'avidità secolare. Poi che preti come Mazzolari, Milani e Dossetti, pur tanto elogiati, hanno sempre tenuto a ricordare la loro piena fedeltà a questa Chiesa non inventata dagli uomini, ma fondata da Gesù Cristo. Infine che le due citazioni usate in pagina per dare solidità teorica alla strana «confessione», una del teologo Joseph Ratzinger, libero come sempre, ma fedele, e l'altra di Tommaso d'Aquino, ambedue sul valore «vincolante» della coscienza, includono anche chiaramente, testi e contesti, oltre il dovere di «formare e informare» questa coscienza, anche quello di evitare ogni «incoscienza». Invano! E qualche malinconico sconcerto, allora, prende chi legge.
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