«Più cooperative agricole nell'Ue»
sabato 4 ottobre 2008
Serve più cooperazione agricola nell'Unione europea. Non " s'intenda subito " quella legata all'applicazione della politica comune e nemmeno quella riferita ad accordi commerciali vari più o meno ampi, ma quella delle cooperative vere che, in agricoltura soprattutto, hanno avuto ruoli da protagoniste facendo anche la storia di buona parte del settore. Al di là di come attuarla, una maggiore presenza dell'approccio cooperativo alla produzione e commercializzazione dei prodotti agroalimentari, sembra ormai una necessità diffusa e ha preso ufficialmente corpo qualche giorno fa al Congresso degli agricoltori europei. Secondo Paolo Bruni " Presidente di Fedagri-Confcooperative " l'Unione europea deve infatti accompagnare «il processo di concentrazione e integrazione» affidando «compiti nuovi e più ampi» alle cooperative agricole. Un'opinione che ha preso i toni di un appello rivolto alla Commissione ma anche ai singoli Stati membri.
Al di là degli appelli, però, la necessità di avere più cooperazione è una questione di numeri e quindi di forza contrattuale sui mercati di approvvigionamento e di vendita, ed è probabilmente anche una questione etica. L'idea alla base della richiesta emersa al Congresso degli agricoltori Ue è fondata su un ragionamento economico semplice: nella situazione di generale incertezza nell'equilibrio di mercato tra domanda e offerta, le cooperative agricole e i produttori organizzati possono rivestire un ruolo centrale per la valorizzazione del prodotto, la garanzia della tracciabilità delle produzioni e il rafforzamento del potere negoziale degli agricoltori nei confronti della grande distribuzione. Proprio il delicato rapporto fra produzione agricola e grande distribuzione moderna (cioè il canale ormai più importante attraverso il quale passa la gran parte del prodotto alimentare in Italia e in Europa), ha d'altra parte fornito in questi giorni un esempio importante del suo peso con la vicenda del Parmigiano Reggiano, la cui crisi da molti è attribuita proprio dallo squilibrio negoziale fra questi due capi della filiera. Più in generale, l'aumento dei costi di produzione, le speculazioni finanziarie, il trasferimento delle stesse sul fronte delle materie prime, la riduzione del potere d'acquisto dei consumatori e la persistenza di un profondo squilibrio nel rapporto della catena del valore, appaiono tutti elementi in favore di una maggiore presenza della cooperazione lungo il percorso che porta gli alimenti dai campi alle tavole.
Da tutto ciò, quindi, l'appello: «L'Ue accompagni il processo imprenditoriale di consolidamento e di aggregazione delle organizzazioni di produttori e affidi loro compiti nuovi e più ampi nelle azioni di filiera nell'ottica di un sostanziale riequilibrio di mercato». Fin qui tutto bene: il problema è però come trasformare in linee politiche non teoriche un orientamento di questo genere e, successivamente, come farlo rispettare. Le spinte "non-cooperative" nel mondo agricolo, infatti, sono all'ordine del giorno.
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