«Messa in si minore», per Herreweghe Bach è un continente inesauribile
domenica 22 aprile 2012
Da Philippe Herreweghe è sempre lecito aspettarsi il massimo; lui è infatti uno di quei direttori la cui fama si è costruita nel tempo attraverso una lunga sequela di interpretazioni memorabili condotte all'insegna del difficile equilibrio tra fantasia e rigore, creatività e disciplina, attenzione nei confronti dei più piccoli particolari e senso delle grandi architetture sonore. Ora poi che, liberandosi da qualsiasi vincolo esterno di natura artistica e commerciale, ha fondato una propria etichetta discografica (PHI, distribuita in Italia da Jupiter), il suo percorso di ricerca, studio ed esecuzione sembra ormai destinato a spingere sempre più in la i propri orizzonti.In questa prospettiva, nella sua ultima incisione il maestro belga fa ancora ritorno (per la terza volta, dopo le registrazioni del 1988 e del 1996) a uno dei massimi vertici della letteratura sacra di tutti i tempi, la Messa in si minore BWV 232 di Johann Sebastian Bach (1685-1750): una pagina aperta che Herreweghe non ha mai terminato di esplorare e che per lui rappresenta evidentemente un imprescindibile punto di riferimento e di verifica.Compagni fedeli in questo lungo cammino, la formazione corale e strumentale del Collegium Vocale Ghent e uno dei cinque cantanti solisti richiesti dalla partitura, il basso Peter Kooij; su questa inossidabile base il direttore ha costruito il suo nuovo approccio al capolavoro bachiano, dando vita a una lettura di grande tensione ed estremo nitore, condotta sul filo della trasparenza e dell'equilibrio tra le proporzioni, con profondità di pensiero e luminosa serenità, come testimoniano gli accenti pacificanti del Kyrie iniziale, il carattere aggraziato delle arie del Gloria (su tutte la sfolgorante «Laudamus Te») e lo spessore teatrale degli episodi corali racchiusi nell'imponente Symbolum Nicenum (incoronati dal trittico «Et incarnatus est» / «Crucifixus» / «Et resurrexit»).Passa dunque il tempo ma nella Messa in si minore Herreweghe continua a individuare la summa del sapere compositivo e del magistero contrappuntistico del Thomaskantor; l'esito compiuto di quell'impronta estetica e spirituale che ha portato il sommo Goethe a definire la musica di Bach «un dialogo dell'Onnipotente con se stesso prima della Creazione».
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