venerdì 3 aprile 2015
​Cinquant’anni fa a Milano, nella libreria di una donna colta, curiosa e generosa, Anna Maria Gandini, che aveva saputo trasformare una bottega in un luogo d’incontro e di conversazione come dovevano esserci all’origine del commercio dei libri tra Sette e Ottocento, nacque l’idea, poi subito messa milanesemente in pratica, di una rivista di fumetti che dovesse dar dignità a un genere espressivo ancora confinato tra quelli per bambini e per semi-analfabeti ma che aveva già una storia, e aveva già dato opere memorabili. C’erano con lei Laura Lepetit (poi editrice de La tartaruga), Vanna Vettori, Oreste Del Buono, Vittorio Spinazzola, Umberto Eco e perfino Elio Vittorini, che per primo aveva «sdoganato» il fumetto sulle pagine del Politecnico, a guerra finita da poco. Nacque, fondata dall’ardimentoso marito di Anna Maria, Giovanni, il mensile Linus, ed ebbe un successo molto molto più grande dei suoi sogni. Almeno due o tre generazioni di ragazzini italiani nella pubertà e nell’adolescenza si abbeverarono a Linus scoprendovi i grandi fumetti del passato, da Krazy Kat a Dick Tracy a Lil’ Abner, ma soprattutto i contemporanei, soprattutto Charlie Brown e i suoi compari inventati da Schulz, tra cui il piccolo Linus dal dito in bocca sempre abbracciato alla sua coperta. Di quella stagione ricostruisce la storia in un bel libro Rizzoli pieno di illustrazioni in bianco e nero e a colori Paolo Interdonato, che di storia e critica del fumetto si è fatto una specialità oltre che una passione. La storia che ricostruisce è importante, ma le sue considerazioni hanno anche il valore di una riflessione critica e sociologica, e ricostruiscono efficacemente un’epoca e i suoi umori – che sono in definitiva quelli dell’Italia del miracolo economico, dell’euforia di un benessere lungamente agognato, della commedia all’italiana e di La vita agra, di Antonioni e di Fellini. La storia di Linus è dunque un pezzo importante della storia della società italiana in una sua fase euforica e dinamica, che sfociò, si può dire, nel ’68. Ma cominciò di lì non l’epoca d’oro di uno sviluppo che fosse anche progresso (Pasolini dixit) bensì quella di una decadenza, in cui la cultura e i media vennero ad assumere sempre di più una funzione consolatoria, consumistica, e più addormentante che risvegliante. Interdonato racconta gli anni d’oro di Linus, ma anche le sue crisi, le trasformazioni legate all’evoluzione dei tempi, all’accelerazione prima e alla stasi poi di una storia che andava negando le speranze e consolidando le contraddizioni, i conformismi, le sudditanze. Non nasconde lo sfondo, che diventa a volte primo piano. E più che nostalgia suscita malinconia, nel lettore che ricorda quegli anni.
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