domenica 13 marzo 2016
«La famiglia è "culturale"» (ovviamente nel significato antropologico di cultura), affermava domenica scorsa, con un grosso titolo su Il Sole 24 Ore, lo psicologo e psicanalista Vittorio Lingiardi, docente alla Sapienza di Roma. Sennonché con questa affermazione il Professore si smentiva immediatamente e da solo scrivendo ciò che segue: «Non siamo figli per nostra volontà. Molti sono concepiti senza essere pensati... Ogni concepimento, nascita, adozione ha una sua storia da raccontare, più o meno consapevole, più o meno fortunato... Qual è il "vero" genitore? Quello che concepisce per caso o per sbaglio o quello che desidera e attende?». Siamo tutti impensati, casuali, inconsapevoli, per sbaglio o distrazione e, ovviamente, anche desiderati, voluti, cercati, ma in ogni caso poi sviluppati, partoriti e cresciuti secondo processi non "culturali" ma naturali e quindi noti. Lo afferma persino la Costituzione, articolo 29: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale», qualifica ben diversa da "culturale" e, per di più, con quel «riconosce» che ne conferma la naturalità che precede ogni cultura e, dunque, non istituisce, come invece ha fatto il Senato con la parafamiglia omosex. La Corte Costituzionale dovrebbe notare qualche cosa di importante in proposito. Ormai, purtroppo, tutto un po' alla volta lo si fa diventare "culturale", persino il sesso, come vorrebbe la teoria del gender, ma che più naturale non si può.Ormai il "culturale" si è sposato con il "principio di autodeterminazione", fonte dell'attuale crisi morale della nostra società e padre dei "diritti civili" (meglio: dei distorti). Sono "culturali" il divorzio, la contraccezione, l'aborto procurato, i vari concepimenti artificiali, le "unioni civili" tra persone omosessuali, l'affitto dell'utero, il suicidio solitario o assistito, l'eutanasia... La famiglia, invece, quella vera e costituzionale, costruisce la società e assicura il futuro, riconosce e rispetta Madre Natura genitrice della famiglia umana. Qualunque cosa dicano le leggi artificiose, certi psichiatri e certi politici.AUTOSCOMUNICA?«"Non in destructionem sed in aedificationem Ecclesiae"» – scrive al Papa e a Repubblica (mercoledì 9) il noto teologo svizzero Hans Küng allo scadere del «mio ottantottesimo anno di vita» – per fargli leggere «il quinto volume delle mie opere complete» e «con questo libro in mano» chiedergli di ridiscutere l'infallibilità "ex cathedra" che, scrive, «pone il Papa in contrasto, per così dire, con tutto il mondo civilizzato». Küng non si accorge che se il Papa mettesse in discussione il dogma questa decisione ne costituirebbe automaticamente una violazione e il Pontefice dovrebbe perciò autoscomunicarsi e dare il via alla "destructio Ecclesiae" e alla sua "reductio" a una delle tante confessioni nate dopo la Riforma.
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