giovedì 24 giugno 2010
Lupus tra serio e allegro, del tutto personale. Impazza da qualche giorno in pagina progressista, p. es. tra "Europa", "Unità" e "Repubblica", come tre organi del Pd, anche il "dibattito" sulla parola "compagni", e ieri ("Unità", p. 31) tre domande e due risposte. Che dire? A me la parola "compagno" è sempre piaciuta molto. Indica condivisione del pane spezzato insieme, e con profonde valenze anche di Vangelo. Tra l'altro da quasi 5 secoli c'è la "Compagnia di Gesù"" Il termine mi piace da una vita, e ad esso è legato un episodio vissuto da mio padre, falegname. Un giorno, inizio anni 50, durante un dialogo tra operai, in pausa pranzo, un collega sardo, Orlando Canu, comunista stagionato e franco, proclamò convinto: «Lenin ha detto che chi non vuole lavorare non deve neppure mangiare!». Allora mio padre replicò che il primo a dirlo era stato non Lenin, ma san Paolo, nella Lettera ai Tessalonicesi, quasi 1.900 anni prima, e gli mostrò il testo in un piccolo libro del Nuovo Testamento che portava sempre in tasca. E il buon Orlando? Lesse, rilesse, controllò severo, ci pensò un po' e infine esclamò: «Hai ragione, Arnaldo! Ma allora tu, che mi conosci da tanti anni, mi devi dare atto di una cosa: ogni tanto mi scappa qualche imprecazione sui Santi, ma san Paolo no! Non l'ho mai bestemmiato! Me lo sentivo che era" un compagno!». Ecco. Quando si ripensa alla storia delle parole, soprattutto di quelle che indicano cose davvero umane, e cariche di senso, anche sentimenti come questo contano. Chi vuole tagliarsi da solo le radici faccia pure, ma non si meravigli, poi, se si ritrova a terra, e con le ossa rotte!
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