giovedì 21 maggio 2015
Alla fine mi sono fermato. Mi sono chinato e gli ho chiesto: "Come ti chiami?". Mi ha risposto un nome impronunciabile. Non ho ben capito, ma fa lo stesso. E' stato l'inizio di un breve, ma intenso incontro ravvicinato. È successo ieri, all'uscita dalla stazione "Cornelia" della metro, a Roma. Questo uomo senza una gamba e con la mano tesa a chiedere l'elemosina lo vedo da lungo tempo ormai. Ogni volta un saluto sempre più cordiale. E poi la consueta monetina, ma con l'aggiunta di uno sguardo diverso, condito da un sorriso e dall'augurio di una buona giornata.Mi sono ormai talmente abituato alla sua presenza che quando non lo vedo, quasi ne avverto l'assenza. Questo signore che chiamo Enrico con un nome di fantasia, fa parte della mia vita quando si svolge a Roma. Ne ho parlato anche ai miei figli e a mia moglie. Loro sanno di questo miei strani appuntamenti che mi hanno inquietato, soprattutto da quando papa Francesco ha detto che occorre toccare il prossimo, i poveri, quelli che ci vivono accanto.E allora sono arrivato fino al coraggio (poca cosa, per la verità) di fermarmi a chiedere, a domandare, a interessarmi a questo "ultimo" che ultimo non è nei confronti di Dio. Anzi, in lui, come in tutti noi, è impressa la stessa immagine di Dio. L'ho guardato negli occhi, gli ho stretto la mano, l'ho accarezzato e lui subito mi ha confidato di essere padre di quattro figli e di fare fatica ad andare avanti. Tra poco uscirò di nuovo. Spero di incontralo, lungo le scale della metro. Ne avverto il bisogno. Enrico è il mio prossimo e io non posso fare finta di non vederlo. Spero solo nella sua comprensione.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI