domenica 31 maggio 2015
Integrale significa anche “reso completo, con l'aggiunta di ciò che manca”, non di ciò che già c'è, dunque qualcosa che sia altro, diverso. Il pane integrale oltre la farina contiene la crusca. Gli immigrati si integrano in una realtà diversa dalla loro. Nelle persone la completezza si ha quando una di un genere si unisce con una dell'altro nel matrimonio. L'amore è integrale quando è per un altro diverso da sé. Per questo “diverso è bello”, mentre “uguale” (omo) suscita spesso rifiuti. Per questo l'“amore integrale” è quello di due sposi. Dunque, il concetto di “amore integrale”, che per il teologo Vito Mancuso varrebbe per il matrimonio uguale per tutti, omosessuali compresi (la Repubblica, lunedì 25) perde la motivazione. Ugualmente cade la sua idea che esista un “diritto” universale «nativo, radicale e inalienabile» a questo tipo di amore, cioè al matrimonio anche per le persone gay. Nel caso di una coppia maschile, però, come si fa un matrimonio senza “matri” (dal latino mater)? Senza questa parte della parola, resta solo il “monio” (dal latino munus, compito, dovere della madre) e qui si palesa il vero motivo del matrimonio (quello civile regolato dallo Stato) che non è l'amore tra due persone né «il desiderio del loro amore di acquisire una dimensione pubblica», di cui lo Stato non sa che fare. È invece la famiglia che fa vivere la società, perché il compito pubblico degli sposi è di dare alla società nuovi figli-cittadini che essi devono «mantenere, istruire ed educare» (art. 29 della Costituzione, nella quale non si trova la parola amore, che c'è invece nella liturgia del matrimonio sacramento). Caro Mancuso, non è vero che «ormai il tempo è compiuto anche da noi per sostenere nel modo più esplicito che tutti hanno il diritto di realizzarsi nell'amore integrale, senza distinzione». Questo tempo non esiste e il teologo dovrebbe sapere che l'“uomo integrale” è quello che risulta dall'incontro tra l'uomo e la donna. Quando ha colmato la solitudine dell'uomo, il Signore ha creato la donna, non un altro maschio e ha dato alla coppia disuguale un incarico: «Unirsi e diventare una sola carne». Cioè di realizzare il vero e fecondo amore integrale. MA PERCHÉ LO VOGLIONO?Restiamo in tema. Il giorno successivo all'articolo di Mancuso ne è comparso su Repubblica uno dello scrittore e critico Piero Citati, che invitava «gli omosessuali in lotta per i diritti» a «non perdere la loro singolarità». Ecco come: essi «pretendono di essere come gli altri, ciò che certo non sono, tanta è la singolarità di condizioni che li distingue. Questa (pretesa) è un'offesa a loro stessi, un'offesa alla loro vita quotidiana; una cancellazione dell'abisso e del fascino che li circonda… Un omosessuale non può trascurare la sua ricchezza delle condizioni e dei sentimenti che lo distingue». Ma allora perché vogliono il matrimonio?
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