Medicina digitale e reti neurali, l’Intelligenza artificiale vuole curarci così

Il Nobel assegnato per la scoperta della “tolleranza immunitaria periferica” mostra come il futuro della nostra salute passa dalla convergenza tra la biologia molecolare e l’IA. E pone questioni epocali: ecco quali
October 9, 2025
Medicina digitale e reti neurali, l’Intelligenza artificiale vuole curarci così
Shimon Sakaguchi, professore all'Università di Osaka, riceve l'omaggio dei suoi studenti dopo la notizia dell'assegnazione a lui e ad altri due scienziati del Nobel 2025 per la Medicina
L’edizione 2025 dei Premi Nobel segna un passaggio cruciale per il dialogo fra intelligenza artificiale, medicina ed etica: mai come quest’anno il sapere scientifico e la cultura tecnologica hanno mostrato di camminare fianco a fianco, in un abbraccio dagli effetti profondamente antropologici. L’annuncio del Nobel per la Medicina conferito a Mary Brunkow, Fred Ramsdell e Shimon Sakaguchi per la scoperta della “tolleranza immunitaria periferica” tramite i linfociti T regolatori apre orizzonti terapeutici nuovi: la cura delle malattie autoimmuni, la lotta contro il cancro e la gestione dei trapianti ricevono un impulso da trent’anni di ricerca controcorrente, capace di sovvertire dogmi e di proporre nuovi modelli clinici, proprio nel momento in cui i sistemi digitali si alzano a protagonisti della ricerca laboratoristica.
Ma il vero spartiacque è la convergenza tra la biologia molecolare e l’intelligenza artificiale. Gli algoritmi di deep learning permettono oggi di analizzare l’immenso volume di dati generati da queste ricerche: la stratificazione terapeutica, la selezione dei pazienti ideali per nuovi trattamenti e persino lo sviluppo di nuove molecole sono ormai affidati a reti neurali artificiali che superano per precisione e rapidità le capacità del singolo ricercatore. Il Nobel del 2025 lo riconosce implicitamente: la medicina è ormai una medicina digitale, dove l’interazione tra umano e artificiale genera sapere, cura e possibilità prima impensabili.
Non basta evocare il progresso: occorre anche interrogarsi sui suoi costi e sui suoi rischi. Figure come Geoffrey Hinton, “padrino” dell’AI e premio Nobel per la Fisica, avvertono che questa tecnologia, pur fondamentale nella lotta a malattie e nell’innovazione biomedica, pone dilemmi profondi. Chi decide cosa può e non può fare l’AI? Come garantire la correttezza epistemica e la riflessività morale nei processi di automazione del sapere medico? Il pericolo non è solo nell’apocalisse robotica evocata dai film di fantascienza, ma nella gradualità di una trasformazione silenziosa: sistemi opachi che influenzano la pratica clinica, selezionano terapie, e spesso sfuggono alla comprensione e al controllo umano.
La riflessione bioetica e biogiuridica diventa allora centrale: epistemologi, filosofi ed esperti di etica segnalano come il nuovo ecosistema algoritmico sia un “habitat” con cui dialogare, non un semplice strumento tecnico. La giustizia epistemica, l’integrità della ricerca, la deontologia scientifica sono poste sotto pressione da processi di automazione che rischiano di generare nuovi bias, nuove forme di esclusione e di ingiustizia.
Questa Nobel season ci obbliga a ripensare la condizione umana che interagisce con la tecnologia: l’Homo sapiens è, dal punto di vista antropologico, una specie tecno-umana. Il futuro dell’etica biomedica sarà nella capacità di integrare linguaggi diversi, di favorire l’alleanza creativa tra intelligenza naturale e artificiale e di garantire che il progresso scientifico rimanga accessibile, giusto e riflessivo. Il premio Nobel 2025 è una chiamata alla responsabilità: i traguardi della scienza e della tecnologia sono grandi, ma senza una guida etica rischiano di diventare percorsi ciechi e disumanizzanti.
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