martedì 25 ottobre 2016
Tre studenti dell'Università di Bologna si aggiudicano il primo premio della Texas Instruments Innovation Challenge progettando un casco salvavita
Shelmet, il casco intelligente

Shelmet, il casco intelligente

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Tommaso Polonelli, Angelo D’Aloia e Lorenzo Spadaro – poco più di settant’anni in tre – ad aprile avevano per le mani soltanto un foglio bianco. In testa, invece, avevano un’idea che entro la fine di luglio è diventata una realtà. Un prototipo: «Sì, sì, lo spieghi bene – chiede Tommaso Polonelli – che non si tratta di un prodotto già in commercio. Il casco è ancora perfettibile e il progetto non del tutto concluso». Già, il casco: per quanto migliorabile ha conquistato al trio di studenti della facoltà di Ingegneria elettronica dell’università di Bologna il primo posto alla Texas Instrument Innovation Challenge, che nel mondo dell’elettronica è la più grande competizione per studenti d’Europa, Africa e Medio Oriente.


Il casco si chiama Shelmet, che sta per casco smart, cioè intelligente. Per realizzarlo i ragazzi hanno potuto contare sull’aiuto di Luca Denini, professore dell’ateneo bolognese, che ha anche finanziato il progetto.


Ma come si arriva da un foglio bianco a un super casco integrale?
«Prima di tutto si comincia con il mettere le idee nero su bianco, consapevoli che la gran parte andranno scartate. E, appunto, con un processo di verifica e controllo si scarta l’impossibile e ci si concentra sul realizzabile».


E poi arriva il momento di mettere a frutto quel che si è imparato a lezione.
«Esatto. E mi permetta di dissentire da quel che leggo troppo spesso sui giornali, sempre pronti a sottostimare le università italiane e a tessere le lodi di quelle straniere. Le nostre facoltà sanno essere competitive e vincenti.


Tornando al casco…
Mettendo a frutto i nostri studi, dicevamo, abbiamo progettato le componenti che ci servivano. Sulla carta, però, perché per la realizzazione dei chip ci siamo rivolti ad aziende specializzate, che li hanno prodotti seguendo i nostri disegni. Abbiamo montato ogni pezzo al suo posto e incrociato le dita sperando che tutto funzionasse. Naturalmente non è successo, ma eravamo perfettamente consapevoli di questa possibilità… Passo dopo passo abbiamo corretto e ritoccato. Adesso tutto funziona.


Come?
Sul casco abbiamo montato una telecamera termica che capta il calore e segnala la presenza di persone o animali sulla strada o ai bordi anche in mancanza di luce. C’è anche un sensore per l’alcol test che grazie a un dispositivo installato sulla moto disabilita l’accensione del motore se chi indossa il casco ha bevuto troppo mentre un altro sensore controlla il battito delle ciglia e se rallenta troppo, segnalando un possibile colpo di sonno, invia un segnale acustico. Stiamo anche perfezionando l’accelerometro che serve per verificare la potenza dell’urto in caso di caduta, abilitando funzioni di chiamata a un numero di emergenza. Tutto questo lo abbiamo reso energeticamente autonomo. Sul casco c’è un pannellino solare e un convertitore di energia cinetica. Per intenderci un congegno molto simile a quello che negli orologi permette di ricaricare la molla con il movimento del polso.

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