Attacco a Mattarella: quell'ombra sgrammaticata sulla lealtà istituzionale

Un articolo della Verità tira in ballo un consigliere del capo dello Stato e accusa il Quirinale di tramare contro il Governo. Bignami (FdI) chiede chiarimenti. La replica del Colle
November 18, 2025
Attacco a Mattarella: quell'ombra sgrammaticata sulla lealtà istituzionale
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella al suo studio.
Il direttore della Verità Maurizio Belpietro ha pubblicato un articolo, dal titolo «Così il Colle proverà a fermare la Meloni», nel quale viene attribuita a un consigliere del Quirinale, ex parlamentare del Pd, Francesco Savero Garofani, una valutazione sui tempi, considerati troppo stretti, che ci sarebbero per trovare un'alternativa vincente all'attuale governo, per cui servirebbe uno «scossone». Alla richiesta di «chiarimenti» che veniva dal capogruppo alla Camera di Fdi Galeazzo Bignami replicava una nota dell'ufficio stampa del Quirinale in cui si esprimeva «stupore per la dichiarazione del capogruppo alla Camera del partito di maggioranza relativa che sembra dar credito a un ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica costruito sconfinando nel ridicolo». 
Se la tempistica è rivelatrice, non vi è dubbio che la secca nota dell’ufficio stampa del Quirinale sia scaturita non dalla lettura dei giornali ma alla presa sul serio da parte di livelli molto alti del partito di maggioranza relativa di un articolo/congettura a firma del direttore della Verità, Maurizio Belpietro. Accusare Sergio Mattarella di «tramare» - lui che, giova ricordarlo, aveva fatto sapere in tutti i modi di essere contrario a un secondo mandato, ma che poi ha ceduto a una richiesta pressante e corale che gli è venuta perché rimanesse al suo posto - rappresenta una sorta di ossimoro, e il vero mistero (la nota parla di «stupore») consiste proprio in questo sgangherato abbinamento di parole.
I fatti, a voler dar credito ad essi e non alle congetture, dicono altro. Parlano di un clima di rispetto, di lealtà istituzionale fra le due istituzioni più importanti del Paese. Dal primo atto del governo Meloni - quando il capo dello Stato ha di fatto rinunciato alla sua prerogativa di concorrere alla lista dei ministri, in virtù del chiaro mandato popolare scaturito dalle urne - fino all’ultimo, lunedì, quando al Consiglio supremo di Difesa, in un momento molto delicato sul piano internazionale e nel dibattito interno alla maggioranza, ancora una volta il Quirinale e Palazzo Chigi hanno sancito una piena unità d’intenti sui due dossier spinosi: il pieno appoggio all’Ucraina di fronte ai nuovi attacchi; e il sostegno alla «pace di Trump» con l’obiettivo dei «due popoli, due Stati».
Lo «stupore» quirinalizio può sostanziarsi nel prendere atto che un capogruppo alla Camera (Galeazzo Bignami) che vanta un legame strettissimo con la sua leader possa aver agito senza consultarla prima, o può tramutarsi in delusione per l’ipotesi che - invece - la abbia sentita e sia stato da lei autorizzato ad assumere l’iniziativa. Ma, appunto, la piena e non scontata sintonia, appena il giorno prima, fra premier e capo dello Stato in un Consiglio supremo di Difesa molto delicato, proprio non sembra accreditare l’idea che dietro quella sgrammaticata richiesta di chiarimenti al Colle da parte di Bignami, vi si possa leggere l’avallo di Palazzo Chigi. Sarebbe ben strano, d’altronde. I fatti, si diceva, riferiscono altro. Parlano di promulgazioni mai negate alle leggi della maggioranza di governo anche quando - Mattarella lo ha spiegato ai ragazzi - non ne condivideva il contenuto, purché «non manifestamente incostituzionali». Inutile è stato l’esercizio di «tirarlo per la giacca» su provvedimenti discussi, come l’autonomia differenziata o i decreti sicurezza, per citarne due, sempre preferendo la formula della leale collaborazione attraverso la moral suasion preventiva. E come non ricordare l’iniziativa del Colle con la Flotilla, a sanare una pericolosa frattura che rischiava di ingenerarsi fra il Governo, che per questo lo ha ringraziato, e una consistente parte del Paese. Senza tralasciare il convinto sostegno dato alla candidatura, non scontata, di Raffaele Fitto alla vicepresidenza della Commissione Ue che avrebbe avuto poche chance, al di là del credito personale dell’ex ministro, se a sorreggerla non fosse intervenuto - apertamente - il Ppe e - più discretamente, ma con eguale convinzione e forza persuasiva - anche il Quirinale.

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