«Il governo Meloni ha fatto un regalo ai ricchi». Vero o falso?

Cosa è stato detto davvero nelle audizioni sulla manovra. I criteri di classificazione dell'Istat e i tre milioni d'italiani che versano da soli quasi metà Irpef. Il nodo: l'ampliamento fino a 200mila euro
November 11, 2025
«Il governo Meloni ha fatto un regalo ai ricchi». Vero o falso?
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al comizio a Bari a sostegno del candidato alla presidenza della Puglia, Luigi Lobuono.
Il governo Meloni ha fatto un regalo ai “ricchi” sì o no? Materia di per sé tecnica, il Fisco rispecchia l’idea che si ha della società e per questo diventa un tema anche a fortissimo tasso ideologico, come dimostra in parallelo il dibattito sulla patrimoniale, ritirata fuori dal leader Cgil, Landini. Lo si vede in questi giorni, col taglio della seconda aliquota Irpef finito al centro di una bufera che somiglia tanto alla classica tempesta in un bicchier d’acqua. Perché è vero che questo capitolo della manovra favorisce soprattutto i redditi medi e medio-alti, ma va anche ricordato - come ha fatto domenica il ministro Giorgetti - che si inserisce in una politica fiscale che negli ultimi anni ha sostenuto i redditi medio-bassi. E le proporzioni hanno il loro peso: le misure varate dall’esecutivo di centrodestra (quelle appunto a favore di chi guadagna meno) nel complesso valgono 18 miliardi di euro, mentre questo segmento incide “soltanto” per circa 3 miliardi.
Allora, è tutto un gigantesco equivoco? Ripetiamo, l’ideologia è una componente non da poco: in questi giorni si è ricordato che, a fine 2021, il governo Draghi (che aveva dentro i partiti di sinistra) cancellò l’aliquota del 41% e modificò la seconda, sui redditi fra 28 e 50 mila euro, al 38% portandola al 35% attuale (il livello che Meloni ora vuole abbassare al 33% dall’anno prossimo), eppure nessuno parlò di «regalo ai ricchi». Malgrado il beneficio massimo fosse all’epoca di 765 euro, contro i 440 di oggi. Per capire meglio le ultime vicende occorre risalire al punto di partenza: le audizioni delle istituzioni tecniche sulla legge di Bilancio. Al centro della contesa sono soprattutto gli interventi dell’Istat e dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), giovedì 6. In particolare l’istituto di statistica ha classificato le famiglie italiane per “reddito disponibile equivalente”, cioè il reddito complessivo corretto per tenere conto del numero dei componenti e delle esigenze economiche. Dopodiché le ha divise in cinque gruppi di uguale numerosità, detti appunto “quinti”, ciascuno dei quali rappresenta il 20% delle famiglie italiane: un’operazione che serve a capire come si distribuisce il beneficio fiscale lungo la scala dei redditi.
È da qui che è scaturita la frase “incriminata” del presidente Chelli: quella che «oltre l’85% delle risorse sono destinate alle famiglie» dei due quinti più ricchi. Una frase che ovviamente è diventata il titolo di tutti gli articoli e servizi tv. Il punto è capire, però, chi viene compreso nell’ultimo e nel penultimo “quinto” statistico; e qui è il deputato Luigi Marattin, economista e segretario del Partito liberal-democratico, a svelare l’arcano: «Mi chiedo se Schlein e tutto il Pd sappiano o meno che “i due quinti più ricchi della distribuzione Irpef” partono già da chi guadagna anche 1.900 euro lordi al mese. Circa 1.400 netti». Rientrano pure costoro (anche se per loro l’aiuto è minimo, 23 euro) fra i presunti “ricchi” oggetto dei benefici contro i quali si sono scagliati la Cgil e la sinistra. Perché negli altri 3 quinti - ovvero la maggior parte dei contribuenti - rientrano invece quelli che dichiarano meno di 28/29mila euro. Il dibattito, insomma, andrebbe meglio calibrato su cosa si intende davvero per “ricchi”. Tenendo presente un’altra verità che emerge dalle statistiche fiscali: stando alle dichiarazioni sui redditi 2023, oggi sono circa 3 milioni i contribuenti (su 42,5 milioni in totale) che da soli versano oltre il 40% dell’intera Irpef. E allargando un po’ la forbice, sono 7,3 milioni gli italiani che versano quasi 132 miliardi di Irpef su un gettito annuo totale di 207,15 miliardi. Il che da un lato è giusto (sono i più benestanti), ma dall’altro dimostra che di fatto una sorta di “patrimoniale” esiste già in Italia. Tanto più che poi i proprietari di case pagano anche l’Imu sui loro beni.
Sono questi contribuenti insomma, specie se dipendenti, a sostenere la gran parte del gettito su cui si poggia lo Stato: versano tanto (troppo, a giudizio di vari esperti) e sono pochi numericamente ed è soprattutto per questa ragione - cioè il loro esiguo numero - che l’aiuto a essi riservato, dopo quelli degli anni scorsi elargiti ai redditi medio-bassi, fa più scalpore. Ma è anche vero che, se si scende di reddito nei benefici da concedere, il costo dell’operazione torna di nuovo ad allargarsi parecchio, perché sono molti di più i contribuenti che stanno sotto i 50mila euro di reddito dichiarato: solo fra 20 e 29mila euro, per dire, sono quasi in 10 milioni.
La stessa Corte dei Conti ha riconosciuto, nella sua audizione, che il governo punta in effetti a sostenere il «ceto medio» e a fargli recuperare parte del potere d’acquisto eroso dall’inflazione negli anni. Sempre la Corte, però, ha ribadito che circa il 44% dei fondi stanziati per il taglio andrà a contribuenti con redditi tra 50 e 200mila euro e una parte di chi supera i 200mila euro continuerà comunque a ottenere il risparmio massimo di 440 euro (che scatta già a quota 50mila). Perché è vero che è prevista una “sterilizzazione” per i “paperoni”, ma è altresì vero che questa si basa su limiti più stringenti alle detrazioni fiscali e che non tutti i super-ricchi hanno poi sgravi da far valere (e il loro beneficio, quindi, non è annullato).
È questo, a ben vedere, l’anello debole di questa manovra sull'Irpef adottata dal governo Meloni: uno stop al taglio delle tasse sopra i 100mila euro (pari a uno stipendio mensile di 8mila euro lordi, comunque “abbastanza” ricchi) avrebbe forse cancellato ogni discussione. Rimane il fatto che l’aiuto al “vero” ceto medio è un’esigenza che permane: per questo ci sono state anche le spinte (vedasi la Cisl) ad ampliare la platea di questo taglio fiscale fino ai 60mila euro lordi. Oggi basta valicare di un nulla quota 50mila per essere tassati al 43%, livello che all’estero si versa per cifre ben superiori. Questo ampliamento avrebbe il costo di ulteriori due miliardi. Per aiutare italiani che guadagnano circa 2.700 euro netti al mese. Non propriamente “ricchi”, specie se con famiglia a carico e residenti in una grande città con un affitto da pagare. Altro materiale su cui la politica sarebbe pronta a litigare.

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