venerdì 15 novembre 2019
Ai partecipanti al XX Congresso dell’Associazione internazionale di diritto penale, Francesco ricorda le criticità della giustizia umana e il senso della giustizia nella visione cristiana del mondo
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“Il diritto penale non è riuscito a preservarsi dalle minacce che, ai nostri giorni, incombono sulle democrazie”. È quanto afferma Papa Francesco, rivolgendosi ai partecipanti al XX Congresso dell’Associazione internazionale di diritto penale. Il Pontefice, in questo contesto, indica due aspetti rilevanti legati all’”idolatria del mercato” e ai “rischi dell’idealismo penale”.

“La persona fragile, vulnerabile – spiega Francesco - si trova indifesa davanti agli interessi del mercato”. “Oggi, alcuni settori economici - come si legge nell’enciclica Laudato Si’ - esercitano più potere che gli stessi Stati”. La prima cosa che dovrebbero chiedersi i giuristi oggi è che cosa poter fare con il proprio sapere per contrastare questo fenomeno, che mette a rischio le istituzioni democratiche e lo stesso sviluppo dell’umanità. In concreto, la sfida presente per ogni penalista è quella di contenere l’irrazionalità punitiva, che si manifesta, tra l’altro, in reclusioni di massa, affollamento e torture nelle prigioni, arbitrio e abusi delle forze di sicurezza, espansione dell’ambito della penalità, la criminalizzazione della protesta sociale, l’abuso della reclusione preventiva e il ripudio delle più elementari garanzie penali e processuali.

“Una delle maggiori sfide attuali della scienza penale, osserva il Papa, è il superamento della visione idealistica”. “L’imposizione di una sanzione non può giustificarsi moralmente con la pretesa capacità di rafforzare la fiducia nel sistema normativo e nella aspettativa che ogni individuo assuma un ruolo nella società e si comporti secondo ciò che da lui ci si attende”.

Francesco ricorda inoltre “una delle frequenti omissioni del diritto penale, conseguenza della selettività sanzionatoria”: “la scarsa o nulla attenzione che ricevono i delitti dei più potenti, in particolare la macro-delinquenza delle corporazioni”.

“Il diritto penale – afferma il Pontefice - non può rimanere estraneo a condotte in cui, approfittando di situazioni asimmetriche, si sfrutta una posizione dominante a scapito del benessere collettivo”. “Questo succede, per esempio, quando si provoca la diminuzione artificiale dei prezzi dei titoli di debito pubblico, tramite la speculazione, senza preoccuparsi che ciò influenzi o aggravi la situazione economica di intere nazioni”.

Si tratta di delitti che hanno la gravità di crimini contro l’umanità, quando conducono alla fame, alla miseria, alla migrazione forzata e alla morte per malattie evitabili, al disastro ambientale e all'etnocidio dei popoli indigeni.

Non devono rimanere impunite, sottolinea Francesco, tutte quelle condotte che possono essere considerate come “ecocidio”: “la contaminazione massiva dell’aria, delle risorse della terra e dell’acqua, la distruzione su larga scala di flora e fauna, e qualunque azione capace di produrre un disastro ecologico o distruggere un ecosistema”. Il Papa ricorda che recentemente, durante il sinodo per la Regione Panamazzonica, i padri sinodali hanno proposto di definire “il peccato ecologico come azione oppure omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l’ambiente”. Francesco aggiunge che si sta pensando di introdurre nel Catechismo della Chiesa cattolica il peccato contro l'ecologia.

Come è stato segnalato nei vostri lavori, per “ecocidio” si deve intendere la perdita, il danno o la distruzione di ecosistemi di un territorio determinato, in modo che il suo godimento per parte degli abitanti sia stato o possa vedersi severamente pregiudicato. Si tratta di una quinta categoria di crimini contro la pace, che dovrebbe essere riconosciuta tale dalla comunità internazionale. In questa circostanza, e per vostro tramite, vorrei fare appello a tutti i leader e referenti nel settore perché contribuiscano con i loro sforzi ad assicurare un’adeguata tutela giuridica della nostra casa comune.

Papa Francesco ricorda alcuni problemi che si sono aggravati. Tra questi, “l’uso improprio della custodia cautelare”: “la situazione – osserva il Papa - si è aggravata in diverse nazioni e regioni, dove il numero di detenuti senza condanna già supera ampiamente il cinquanta per cento della popolazione carceraria”. Un altro aspetto preoccupante, indicato dal Papa, è l’involontario incentivo alla violenza”: “In diversi Paesi sono state attuate riforme dell’istituto della legittima difesa e si è preteso di giustificare crimini commessi da agenti delle forze di sicurezza come forme legittime del compimento del dovere”. Si tratta di “condotte inammissibili in uno Stato di diritto” e, in genere, “accompagnano i pregiudizi razzisti e il disprezzo verso le fasce sociali di emarginazione”.

La cultura dello scarto, spiega inoltre Francesco, “sta manifestando la grave tendenza a degenerare in cultura dell’odio”. "Non è un caso - afferma il Santo Padre - che a volte ricompaiano emblemi e azioni tipiche del nazismo. Io vi confesso che quando sento qualche discorso, qualche responsabile dell’ordine o del governo, mi vengono in mente i discorsi di Hiltler nel ’34 e nel ’36.

Un altro fenomeno indicato dal Papa è il “lawfare”: “Si verifica periodicamente che si faccia ricorso a imputazioni false contro dirigenti politici, avanzate di concerto da mezzi di comunicazione, avversari e organi giudiziari colonizzati. In questo modo, con gli strumenti propri del lawfare, si strumentalizza la lotta, sempre necessaria, contro la corruzione col fine di combattere governi non graditi, ridurre i diritti sociali e promuovere un sentimento di antipolitica del quale beneficiano coloro che aspirano a esercitare un potere autoritario”.

Agli studiosi del diritto penale e a quanti sono chiamati ad assolvere funzioni concernenti l’applicazione della legge penale, il Papa rivolge anche un appello: Affinché la funzione giudiziaria penale non diventi un meccanismo cinico e impersonale, occorrono persone equilibrate e preparate, ma soprattutto appassionate alla giustizia, consapevoli del grave dovere e della grande responsabilità che assolvono. Solo così la legge – ogni legge, non solo quella penale – non sarà fine a sé stessa, ma al servizio delle persone coinvolte, siano essi i responsabili dei reati o coloro che sono stati offesi.

Papa Francesco ricorda “che il compimento di un male non giustifica l’imposizione di un altro male come risposta”. Si tratta “di fare giustizia alla vittima, non di giustiziare l’aggressore”.

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